In Germania c'è una lotta politica (ed elettorale) sul pass vaccinale obbligatorio

Micol Flammini

Il numero delle persone che si vaccina diminuisce e lo Spiegel la chiama "vaccine fatigue". La Germania cerca il modo di uscirne, tra le liti dei candidati alle elezioni e dei partiti al governo

La rivista tedesca Spiegel la chiama già “vaccine fatigue”, uno stato d’animo che avrebbe preso il posto della “vaccine euphoria”, che a sua volta aveva occupato il lungo lasso di tempo che ci eravamo abituati a chiamare “pandemic fatigue”. La “vaccine fatigue” indica il momento in cui la vaccinazione in un paese subisce una lenta e costante diminuzione, dopo l’esuberanza nella fase di prenotazione: è il momento del rimando, spesso a dopo le vacanze,  o del rifiuto e questo mette in pericolo la strategia di uscita dalla pandemia. E’ fisiologico, sta succedendo ovunque e anche in Germania i politici continuano a interrogarsi sulla necessità di ricorrere a un green pass per chi si è vaccinato. Il capo dello staff di Angela Merkel, Helge Braun, in un’intervista alla Bild am Sonntag, ha detto che se il numero dei contagiati continua ad aumentare, “le persone vaccinate avranno sicuramente più libertà delle persone non vaccinate”. Alcune attività come andare al  “ristorante, al  cinema e  allo stadio” potrebbero non essere più possibili senza il vaccino. Qualche giorno prima, durante l’ultima conferenza stampa estiva, la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva già manifestato le sue paure per questo rallentamento nelle vaccinazioni e soprattutto per la nuova curva dei contagi, ma non aveva parlato di passaporto vaccinale, aveva piuttosto cercato di convincere i cittadini con la tecnica che le abbiamo già visto usare molte volte in questo ultimo anno: spiegando.

 

La Germania rispetto ad altri paesi europei si trova in una posizione ancora più difficile, è in campagna elettorale e tutto diventa subito materia di scontro, di propaganda, di comizio.  Dopo l’intervista di Braun, il candidato della Cdu, Armin Laschet, ha risposto che non crede “nella vaccinazione obbligatoria e nelle pressioni indirette per far vaccinare le persone”. In un attimo ha contestato la linea di uno degli uomini più vicini alla cancelliera. La Csu, il partito che assieme alla Cdu costituisce l’Unione, la pensa in modo diverso e infatti il ministro dell’Interno Horst Seehofer ha detto di non essere favorevole alla vaccinazione obbligatoria, ma trova giusto che chi è vaccinato abbia diritto a delle libertà in più, per lui la proposta di Braun non è discriminatoria. A rigettarla invece è l’Spd. Christine Lambrecht, ministro socialdemocratico della Famiglia, ha detto che le libertà che valgono per i vaccinati dovrebbero valere anche per chi esibisce tamponi negativi e certificati di guarigione e semmai, con il tempo,  si potrà ragionare sulla gratuità dei tamponi per chi rifiuta di vaccinarsi. I commenti di Braun non sono piaciuti né ai liberali né ai Verdi, che invece credono sia necessario dare degli incentivi per convincere le persone a immunizzarsi e il governo dovrebbe investire di più nella pubblicità, che in realtà non manca: è stato anche ingaggiato David Hasselhoff che in un video mostra il muscolo e dice ai tedeschi di vaccinarsi. 

 

Secondo l’Istituto Koch, che affianca  l’esecutivo per le decisioni sanitarie, entro settembre l’85 per cento della popolazione avrebbe dovuto essere vaccinato. Con i dati recenti è difficile raggiungere questo obiettivo, e la Germania è entrata nel momento in cui ogni decisione è annacquata dalla campagna elettorale: un rischio nel momento in cui i contagi aumentano. Con la Merkel pronta a uscire di scena e i candidati di Cdu, Verdi e Spd, che non entusiasmano – il 40 per cento dei tedeschi dice di non gradire né Laschet, né Annalena Baerbock, né Olaf Scholz – tutto si fa più difficile. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.