Moon Jae-in e la first lady in visita da Papa Francesco il 19 ottobre 2018 (Blue House press)

Che cosa c'è dietro al possibile viaggio del Papa in Corea del nord

Giulia Pompili

La notizia di Bergoglio a Pyongyang è soltanto l’ultima occasione di dialogo per il democratico Moon Jae-in

La notizia di un possibile viaggio del Papa in Corea del nord arriva non a caso in un momento molto intenso per la politica della Corea del sud. Le elezioni presidenziali sono  alle porte, si celebreranno il 9 marzo del 2022, e i democratici guidati dal presidente Moon Jae-in non hanno ancora le idee chiare su come convincere i cittadini a farsi rieleggere. Non c’è ancora il nome di un successore di Moon, mentre l’indice di gradimento dell’esecutivo è molto lontano dai livelli record di un paio di anni fa (a marzo è arrivato al 33 per cento). Certo, la politica sudcoreana è  volatile, ma il declino del supporto popolare per i democratici non ha solo a che fare con la gestione della pandemia, la crisi economica e la disoccupazione, il problema abitativo mai risolto e quello della corruzione che periodicamente riempie le prime pagine dei giornali. C’è di mezzo anche la Corea del nord, e il tentativo di riconciliazione voluto a tutti i costi dal presidente Moon Jae-in. Quando è arrivato alla Casa Blu, il palazzo presidenziale di Seul nel maggio del 2017, la questione nordcoreana era a un passo dall’incidente, e quindi dalla guerra.

 


Le  provocazioni nordcoreane, fra test missilistici e nucleari, avevano fatto reagire l’allora presidente americano Donald Trump con le maniere forti. 
Ex avvocato dei diritti umani ed esponente di una corrente politica della Corea del sud che segue la cosiddetta “Sunshine policy”, la politica della riconciliazione, Moon Jae-in ha fatto la storia partecipando a tre diversi vertici intercoreani nel giro di pochi mesi, nel 2018. Per due volte lui e il leader nordcoreano Kim Jong Un si sono incontrati  sul 38° parallelo, e poi a settembre Moon era volato a Pyongyang. Lo sforzo politico dei democratici nella riconciliazione con il Nord ha subito un colpo letale nel febbraio del 2019, dopo il secondo summit America-Corea del nord finito anzitempo con il famoso “sometimes you have to walk” di Trump. I negoziati falliti con Washington hanno portato la Corea del nord a chiudere ogni forma di dialogo anche con Seul, decisione resa visibile un anno fa, quando la leadership di Pyongyang ha fatto saltare in aria il liaison office, un edificio costruito dai sudcoreani sul confine che ospitava i negoziati. Poi è arrivata la pandemia, la psicosi da contagio, la chiusura a ogni forma di scambio – diplomatico o commerciale – con l’esterno. Per mesi il governo di Moon ha cercato una via di comunicazione con Pyongyang, ma “so che non ho molto tempo. La pace che abbiamo in questo momento è fragile; può essere sconvolta in qualsiasi momento”, ha detto il presidente sudcoreano al Time a fine giugno. 

 


La notizia del possibile viaggio del Papa in Corea del nord è interpretata da diversi osservatori sudcoreani come una manovra più politica che realistica. Moon Jae-in è cattolico, e non è escluso che stia giocando le sue ultime carte prima delle elezioni per tentare di far ripartire il dialogo con il Nord. Nel frattempo, Pyongyang sta vivendo una delle peggiori situazioni economiche degli ultimi decenni. La chiusura dei confini ha azzerato il mercato nero, una delle principali fonti di sostentamento dei nordcoreani. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.