Le notti europee che sono più belle dei suoi giorni

Mauro Zanon

Il figlio di Claude Imbert, storico direttore di Le Point, racconta suo padre e un’idea di Europa

"Sono europeo, soprattutto, per ciò che appartiene unicamente all’Europa, un’intimità fra gli uomini e le cose, per le sue notti che sono più belle dei suoi giorni, per una mobilità sovrana dei cieli e degli umori, una certa grazia dei popoli e dei paesaggi, dove nulla è elementare e selvaggio, ma tutto è composito, ondeggiante, temperato”. Difficile, oggi, trovare definizioni più belle dell’essere europeo, di quel “goût de l’Europe” malinconicamente affievolitosi.

 

Le parole sono di Claude Imbert, fondatore del settimanale Point – dal 1972 oasi parigina del libero pensiero e dell’europeismo – tra i più illustri giornalisti francesi del Novecento, morto nel 2016. Il figlio Jean-Luc gli ha appena dedicato una biografia: “Claude Imbert, un Romain en liberté” (Éditions de Fallois). Dopo un’infanzia nella Francia profonda, nel dipartimento dell’Aveyron, Claude sale a Parigi per frequentare il lycée Carnot, appassionandosi di divinità greche e romane. All’Henri IV, il liceo più prestigioso della capitale, fa le “prépas littéraires”, il biennio che prepara all’ingresso nelle grandes écoles. Lì, incrocia la traiettoria di Etienne Borne, il suo mentore, il suo Pigmalione, colui che gli indicherà la via del giornalismo e del dibattito delle idee, tra la terra e il cielo.

 

 

“Un uomo ispirato, ossia una persona che, con umiltà e coraggio, guidava altri giovani uomini nel cielo delle idee”, dirà di lui Claude Imbert. Al Point, di cui fu animatore e direttore per quasi trent’anni, lo chiamavano Traiano. Come l’imperatore che portò Roma al suo apogeo e fu detto “delizia delle genti” per le sue virtù, Imbert innalzò il giornalismo francese al suo  splendore e fu venerato dalla sua redazione per l’aura e il talento fuori dal comune. “Certo, era il boss, ma quando non era sicuro di qualcosa, quando aveva un dubbio, faceva venire nel suo ufficio una persona che conosceva bene il tema che lo preoccupava; e ne parlava con lui, senza mai mettere in evidenza la sua autorità, fino a formarsi un’opinione”, racconta il figlio, Jean-Luc Imbert. 

 
Al Point, oggi, si porta avanti la tradizione “imbertienne”, come spiega l’attuale direttore Étienne Gernelle nella sua prefazione, ossia l’amore per il liberalismo e l’avventura europea che, nonostante le difficoltà e gli egoismi di questi tempi, è ancora la più appassionante e merita di essere vissuta intensamente. Le riunioni di redazione erano delle grandi feste, gioiose e rumorose, raccontano oggi i discepoli del creatore del Point. Tra questi, Saïd Mahrane, giornalista delle pagine culturali del magazine parigino: “Era francese di nascita ed europeo con tutta la sua anima, traendo da ogni paese della grande penisola ciò che costituirà la sua rappresentazione della vita, con questa idea dominante, la più federatrice di tutti: la libertà”.

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