Pazienti affetti da murcomicosi a Ahmedabad, India, il 21 maggio scorso (LaPresse)

Che cosa ci dice della pandemia la nuova epidemia di fungo nero in India

Nuove varianti, nuove malattie che si diffondono. Vaccinare è l'unica via d'uscita

Giulia Pompili

La situazione sanitaria indiana ha contribuito a creare una epidemia parallela tra i malati di Covid: quella di mucormicosi, la cosiddetta infezione da “fungo nero”. Una malattia rara, che ora non è più così rara 

Con oltre 28 milioni di casi di Covid, l’India è il secondo paese per contagi – subito dietro agli Stati Uniti. Dall’inizio di maggio, quando l’epidemia è esplosa violentissima nel paese, la curva epidemiologica sta scendendo (“solo” 132 mila nuovi casi rispetto ai 414 mila del 7 maggio scorso) ma le conseguenze dell’assenza di un piano di vaccinazioni di massa rendono lo scenario indiano ancora molto grave. Rispetto all’America, infatti, la situazione sanitaria indiana ha contribuito a creare una epidemia parallela tra i malati di Covid: quella di mucormicosi, la cosiddetta infezione da “fungo nero”. Si tratta di una malattia con il 50 per cento di mortalità e che colpisce soprattutto le persone con un sistema immunitario compromesso. Il fungo può infestare le cavità nasali fino alle ossa del viso e invadere il cervello. Spesso l’unico trattamento è l’asportazione chirurgica delle zone infettate. Prima del Covid la mucormicosi rinocerebrale era considerata una malattia rara a livello globale (le statistiche parlano di 10 mila casi l’anno, concentrati soprattutto in Asia). Prima della seconda ondata di contagi da Covid  era una malattia rara anche in India. Poi, improvvisamente, gli ospedali hanno iniziato a riempirsi di pazienti infettati, con la maggior parte dei casi negli stati occidentali del Gujarat e Maharashtra.
 

A oggi anche altri  stati (Telangana, Odisha e Tamil Nadu) hanno dichiarato lo stato di epidemia da mucormicosi. Ci sarebbero tra i settemila e i dodicimila casi, ma il numero esatto non è stato ancora reso noto. Il governo centrale di Delhi non si è ancora espresso sul fungo nero, e l’altro ieri Rahul Gandhi, leader del partito del Congresso, ha scritto su Twitter che “il governo dovrebbe fare chiarezza sull’epidemia” ma soprattutto sulla carenza del farmaco essenziale per fermarlo: l’amfotericina. La comunità scientifica sta studiando il motivo per cui molti pazienti che erano stati contagiati dal Sars-Cov-2, oppure che erano appena guariti, poi sono stati colpiti da mucormicosi. L’infezione sembra più frequente nei pazienti che sono stati molto tempo in terapia intensiva, facendo sospettare che l’ossigeno sia stato contaminato, oppure nei pazienti di Covid diabetici, trattati con il cortisone. 

 

 
Per  Gandhi l’assenza di una “strategia di vaccinazione da parte del governo di Modi è un colpo al cuore di Bharat Mata”, la Madre India. Ma il problema non è soltanto indiano, è globale: perché nel frattempo, sia il fungo nero sia la variante del virus per la prima volta scoperta in India sono usciti dai confini del paese. Sono stati registrati casi di mucormicosi in Pakistan, Bangladesh, Russia. La nuova variante scoperta in Vietnam, che ha costretto il paese a nuove chiusure, sarebbe una combinazione tra quella inglese e quella indiana. 


Molti dei paesi asiatici che hanno retto bene la prima ondata di coronavirus, in questa seconda fase della pandemia si trovano impreparati. Mancano le medicine ma soprattutto mancano i vaccini (in molti stati indiani sono costretti a sospendere per giorni le vaccinazioni di massa, e ieri l’Alta Corte di Delhi ha detto che la distribuzione dei farmaci salvavita e dei vaccini va fatta secondo un criterio di età, salvaguardando i più giovani che possono sopravvivere e che sono un “investimento nel futuro dell’India”).

 

 

È anche per questi motivi che l’Organizzazione mondiale della sanità nei giorni scorsi ha approvato in emergenza i vaccini cinesi: al consorzio Covax, che dovrebbe distribuire i vaccini disponibili nei paesi in via di sviluppo, mancano le dosi. Secondo l’Oms, sebbene l’efficacia dei vaccini cinesi sia inferiore rispetto a quelli occidentali, offrirebbero un rallentamento delle infezioni  e contribuirebbero a limitare le bombe epidemiologiche che si stanno creando soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Senza la messa in sicurezza di quei paesi, tornare alla “normalità” del mondo globalizzato è  un’utopia. 
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.