(foto EPA)

L'eredità di Samsung

Giulia Pompili

La compagnia coreana sta per pagare la tassa più alta mai vista. Il problema dei ricchi a Seul

Gli eredi di Samsung stanno per pagare una tassa di successione da 10,8 miliardi di dollari, un record in Corea del sud ma anche in gran parte del mondo. Quando è morto dopo una lunga malattia, il 25 ottobre dello scorso anno, il presidente Lee Kun-hee, figlio del fondatore Lee Byung-chul, era l’uomo più ricco della Corea del sud, uno dei più ricchi del globo. Sei mesi dopo, i suoi tre figli e sua moglie hanno presentato il piano di pagamento della tassa di successione – che in Corea del sud si aggira intorno al 50 per cento.  Per evitare che l’aliquota della tassa aumentasse ancora di più, ci sono stati degli aggiustamenti patrimoniali: per esempio, l’equivalente di 900 milioni di dollari verranno donati per aprire nuove strutture ospedaliere e pagare l’assicurazione sanitaria a non abbienti. Ma la curiosità internazionale si è concentrata soprattutto sui pezzi d’arte, cioè la collezione privata di Lee Kun-hee, tra le più famose nel mondo. Più della metà della collezione verrà donata a due musei nazionali sudcoreani: parliamo di ventitremila pezzi di arte.  Lee Kun-hee e sua moglie Hong Ra-hee, presidente della Fondazione Samsung Arts, personaggio a cui si sarebbe ispirato Bong Joon-ho per il ruolo della madre della ricca famiglia Park in “Parasite”, sono tra i duecento collezionisti più importanti del mondo. La loro collezione comprende sculture di Alberto Giacometti, un Picasso, un Monet, un dipinto di Mark Rothko e un altro di Francis Bacon. E poi decine di opere artistiche sudcoreane, dichiarate tesori nazionali dal governo.

 

L’enormità della tassa di successione che dovranno pagare i cinque eredi di Lee Kun-hee è il simbolo di un problema urgente del governo di Seul. Samsung è il più grande chaebol sudcoreano, i conglomerati familiari tipici dell’economia della Corea del sud che nessuna Amministrazione, finora, è riuscita a cambiare. Perché i chaebol sono troppo grandi, troppo strategici: funzionano come delle piovre, che toccano tutti i settori dell’economia sudcoreana. In un’economia globalizzata producono poca ricchezza, e sono particolarmente influenti a livello istituzionale. Tutto questo potere è però concentrato nelle mani di poche, ricchissime famiglie. E nel giro di una generazione (dal boom degli anni Sessanta fino a oggi) questi colossi stanno passando nelle mani degli eredi, non sempre all’altezza. In più è il modello dell’economia globale che sta cambiando, oltre alla consapevolezza dei cittadini. Fino a poco tempo fa in Corea del sud era la normalità, per i presidenti, concedere la grazia ai dirigenti dei chaebol con la scusa che senza di loro l’economia sudcoreana avrebbe sofferto. Cinque organizzazioni lobbistiche sudcoreane ieri hanno presentato alla Casa Blu, il palazzo del presidente Moon Jae-in, la richiesta di concedere la grazia a Lee Jae-yong, presidente di Samsung Electrics, unico figlio maschio di Lee Kun-hee e grande erede strategico della Samsung, che sta scontando una pena di due anni e mezzo per corruzione e appropriazione indebita. Per ora “non se ne parla”, ha fatto sapere la presidenza, che ha fatto gran parte della sua campagna politica contro i privilegi dei chaebol. Secondo i media sudcoreani, dopo il pagamento della tassa di successione il governo potrebbe ripensarci.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.