I turchi e gli altri

Dittatori, dobbiamo cooperare

Il pragmatismo di Mario Draghi è senza illusioni e manda un messaggio sia a chi flirta con i regimi e li giustifica sia a chi è soft perché spera di non avere problemi. A proposito: ecco quello che sono andati a fare gli europei in Turchia

Paola Peduzzi

Al vertice europeo di fine marzo, è stato deciso di avviare “l’agenda positiva” con la Turchia, cioè riprendere l’accordo sui migranti ed estenderlo. Alla vigilia del vertice, Draghi in Parlamento aveva detto di essere molto favorevole all’agenda positiva e aveva già tracciato una linea: “La difesa dei diritti umani è un valore identitario europeo”. Lo aveva fatto parlando di Russia e Turchia, dicendo in modo formale quello che due sere fa è uscito come “chiamiamoli dittatori”

C’è un che di perverso nel fatto che molti dei cosiddetti leader forti che gravitano nell’area del Mediterraneo e del continente europeo applicano con diligenza e costanza il manuale dei regimi – silenziare il dissenso, mandare in galera gli oppositori (nel caso avvelenarli), sfasciare i giornali, le tv, le radio, smantellare lo stato di diritto pezzo a pezzo, con i gas lacrimogeni quando serve, costruire un sistema di potere fedele e munifico – ma quando gli dici: dittatore, si offendono. Rivendicano il fatto di essere “alternativi” alle democrazie liberali,  migliori ovviamente, e ti rovesciano addosso a mo’ di rappresaglia le parole che orecchiano dai nostri discorsi. Il ministro degli Esteri turco ha detto a Mario Draghi, che ha definito  “dittatore”, appunto, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che l’Italia deve scusarsi per le sue parole “orrende e populiste”. Chissà cosa ha capito del populismo. Il migliore di tutti è lo speaker del Parlamento turco, Mustafa Sentop, che ha twittato: “Rifiutiamo e rispediamo al mittente le parole oscene dirette alla Turchia e al nostro presidente dalla persona che è stata nominata per  disperazione primo ministro dell’Italia. Questo politico inesperto e impertinente è un fardello pesante e sfortunato sulla schiena del suo paese”. Chissà che curriculum  ha letto.

 

Offese e ira a parte, Draghi ha detto una cosa che in realtà aveva già annunciato in Parlamento qualche settimana fa: dittatori, dobbiamo collaborare. In un colpo solo, Draghi ha mandato un messaggio a quelli che difendono i dittatori e il loro modello (spesso coincidono con i populisti tra l’altro). E anche a quelli che è bene essere soft, si sa mai che poi creano problemi (spesso coincidono con i funzionari europei, tra l’altro). Draghi introduce in questa dinamica lo stesso pragmatismo senza illusioni utilizzato da Joe Biden quando ha detto che Vladimir Putin è “un assassino”: so chi sei, e ti chiamo con il tuo nome. Anche allora hanno protestato soltanto i russi.

 

Una volta che ci si riconosce, si può passare al resto. Il resto, nella fattispecie turca, è l’estensione dell’accordo per cui l’Ue paga Ankara perché gestisca il flusso dei migranti, cioè li blocchi lì e non arrivino in Europa: arriveranno altri soldi, insomma. E quelli che ancora mancano. Erano stati stanziati sei miliardi di euro per le organizzazioni che si occupano di migranti, le agenzie dell’Onu che operano in Turchia e i ministeri turchi dell’Istruzione, della Famiglia e della Salute (i siriani che arrivano in Turchia hanno accesso al sistema sanitario e dell’istruzione senza pagare nulla). Parte della seconda tranche deve ancora essere distribuita, in particolare quella che va ai ministeri perché sono classificati come “progetti di sviluppo a lungo termine” e non come “progetti umanitari di emergenza” come  gli altri. Il ministero dell’Istruzione turco ha ricevuto circa la metà di quello che gli spettava, ma il ministero della Famiglia ha preso il 3 per cento, e quello della Salute il 30. Del progetto di sbloccare negoziati e di adesione e visti turchi per l’Ue non se n’è poi fatto nulla.

 

Al vertice europeo di fine marzo, è stato deciso di avviare “l’agenda positiva” con la Turchia, cioè riprendere l’accordo sui migranti ed estenderlo. Alla vigilia del vertice, Draghi in Parlamento aveva detto di essere molto favorevole all’agenda positiva e aveva già tracciato una linea: “La difesa dei diritti umani è un valore identitario europeo”. Lo aveva fatto parlando di Russia e Turchia, dicendo in modo formale quello che due sere fa è uscito come “chiamiamoli dittatori” Ursula von der Leyen e Charles Michel sono andati ad Ankara per promuovere l’agenda positiva, nella famigerata visita della sedia mancante. Che letta con questo approccio da pragmatico disilluso diventa: se i dittatori fanno i dittatori, gli europei facciano gli europei.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi