Draghi vola in Libia, c'è un irripetibile allineamento a tre

Daniele Raineri

A Tripoli, Roma e Washington le circostanze non sono mai state così buone per riportare il paese africano verso un minimo di stabilità

Il premier italiano Mario Draghi è il primo leader europeo a volare a Tripoli in Libia per incontrare il primo ministro Abdelhamid Dabaiba e questa mattina si è mosso in fretta perché deve recuperare il ritardo italiano accumulato negli ultimi anni, deve battere altri governi d’Europa che hanno interessi diversi dai nostri e deve sfruttare anche alcune circostanze fortunate che gli sono d’aiuto. “Il momento è unico”, come ha detto in conferenza stampa, perché c’è una finestra di opportunità che rischia di chiudersi in poco tempo. 

 

Draghi vuole ristabilire la leadership dell’Italia sulla questione Libia. Nel luglio 2018 l’allora presidente americano, Donald Trump, incontrò il premier Giuseppe Conte a Washington e gli delegò il dossier – riconoscendo all’Italia un ruolo forte per la vicinanza geografica e i tanti interessi in comune con i libici. In pochi mesi quella delega si polverizzò perché di fatto Trump si disinteressò della questione Libia, mandò segnali contraddittori (un po’ voleva che la guerra civile finisse, un po’ tifava per il generale Haftar) e l’Italia si ritrovò a parlare soltanto per sé – con una voce fiochissima. Così se nel luglio 2018 era sembrato per qualche giorno che fossimo alla guida del dossier libico con l’appoggio pieno degli Stati Uniti nel dicembre 2020 Conte e il ministro Di Maio dovettero andare a Bengasi in penitenza come a Canossa al cospetto del generale Haftar per ottenere indietro i pescatori italiani tenuti in ostaggio da quattro mesi. 

 

La visita di Draghi a Tripoli segue lo schema contrario. Non c’è alcuna delega all’Italia da parte dell’Amministrazione Biden, non c’è un ruolo assegnato, è necessario prenderselo di fatto e farlo valere, sapendo che Washington adesso si interessa di nuovo di politica estera e approva molto la stabilizzazione della Libia. Se l’Italia è in grado di favorire il processo, bene, gli Stati Uniti guardano con attenzione. E questo spiega perché Draghi è stato il primo fra i leader europei a volare a Tripoli per incontrare Dabaiba. C’è un allineamento a tre. Il libico per la prima volta da anni guida un governo nazionale riconosciuto nell’est e nell’ovest del paese – che fino a dieci mesi fa si facevano la guerra e dichiaravano di voler catturare come pericolosi criminali i rispettivi leader. Draghi in Italia è alla guida di un governo che gode dell’appoggio di una maggioranza multipartito solida, che gli sarà molto utile quando dovrà mantenere le promesse fatte ai libici. Si parla di elicotteri di Leonardo, di partnership strategica, di aiuti sanitari contro il Covid-19, di addestramento della Guardia costiera, di possibile aumento della presenza militare, tutte cose che in circostanze normali potrebbero scatenare una guerriglia in Parlamento.

 

L’Amministrazione Biden ha annunciato che “America is back” e si occupa di nuovo del mondo. L’indifferenza di Trump verso la questione libica ha senz’altro contribuito all’aggravarsi della guerra civile libica cominciata nel 2019 perché molte potenze regionali e non si sono sentite in diritto di intervenire, dalla Turchia agli Emirati Arabi Uniti alla Russia. Nell’anarchia c’erano scene da farsa, come per esempio la presenza dei contractor di Erik Prince, capo di una compagnia di militari a pagamento e fratello della segretaria dell’Istruzione del governo Trump, Betsy DeVos, che in Libia si era offerto a Haftar – ma poi i suoi uomini sono dovuti scappare in gommone verso Malta. Ora c’è l’allineamento e l’Italia è in una posizione di vantaggio, grazie anche al fatto che in questi anni di caos e di guerra, mentre tutti gli altri paesi chiudevano le ambasciate e lasciavano la Libia, ha sempre  mantenuto una presenza diplomatica nella capitale e una presenza militare nel compound ospedaliero di Misurata. Questa continuità adesso paga. 
 


 

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)