Paradossi in Brasile

Bolsonaro è sempre più filocinese e ha un problema con i generali

A ben guardare le dimissioni a catena e il rimpasto del governo brasiliano spiccano due cose: i militari, osannati da questo presidente, non sono affatto contenti del continuo miscuglio con la politica. E lo sbilanciamento verso Pechino e il suo vaccino fa molto discutere

Maurizio Stefanini

Molti generali, lungi dall’esserne contenti, non ne possono più di questo coinvolgimento nella gestione disastrosa di una pandemia in cui il Brasile è arrivato a 12.664.058 contagiati e 317.936 vittime, con una media che va ormai oltre i 3.000 decessi al giorno. In più, il modo in cui il presidente sceglie la gente in uniforme per dare ruoli politici è percepito come una potenziale minaccia alla gerarchia e alla disciplina

I generali si ribellano a Bolsonaro: così gli analisti interpretano la  decisione dei comandanti di esercito, marina e aviazione di dare le dimissioni, dopo la sostituzione del ministro della Difesa in un maxi-rimpasto in cui si sono avvicendati ben sei  dicasteri.

 

La cosa può sembrare sorprendente, in un quadro in cui assieme al presidente ex ufficiale dell’artiglieria paracadutista e al vicepresidente generale a riposo i militari del Brasile sono arrivati ad avere fino a dieci ministri – e almeno seimila uomini in divisa in questo momento occupano incarichi di sottogoverno a tutti i livelli dell’Amministrazione. Ma molti generali, lungi dall’esserne contenti, non ne possono più di questo coinvolgimento nella gestione disastrosa di una pandemia in cui il Brasile è arrivato a 12.664.058 contagiati e 317.936 vittime, con una media che va ormai oltre i 3.000 decessi al giorno. In più, il modo in cui il presidente sceglie la gente in uniforme per dare ruoli politici è percepito come una potenziale minaccia alla gerarchia e alla disciplina: da parte appunto di un personaggio che fu cacciato dalla Forze Armate perché per ottenere aumenti di stipendio promuoveva insubordinazione.

  

I tre dimissionari sono il comandante dell’esercito generale Edson Pujol, il comandante della marina, l'ammiraglio Ilques Barbosa Junior, e il comandante dell’aviazione Antonio Carlos Bermudez. In particolare Pujol aveva criticato pubblicamente il negazionismo del presidente una volta che Bolsonaro aveva cercato di stringergli la mano e lui aveva rifiutato, offrendo invece il  gomito. “Non vogliamo essere parte della politica, ancor meno farla entrare nelle nostre caserme”, era stata un’altra sua battuta. Ma quando lo scorso 8 marzo Bolsonaro aveva promesso in un discorso: “Il mio esercito non costringerà il popolo a restare a casa”, tutti e tre avevano risposto: “Contro la Costituzione non faremo niente”. Al tempo stesso significava: non disponibilità a mettersi contro le decisioni di lockdown prese da legislativo e autorità locali, e messa a punto sulla dichiarazione di “proprietà” del presidente sulle Forze Armate.

 

Ma la protesta dei vertici è stata a sua volta innescata dal rimpasto, in cui Bolsonaro ha aggiunto altro sei avvicendamenti ministeriali ai 24 già fatti da quando è presidente. Sia la Sanità sia l'Istruzione hanno cambiato quattro titolari. Questa volta la tempesta è partita dal ministro degli Esteri Ernesto Araújo, che era un fedelissimo di Bolsonaro. Da una parte, infatti, Araújo si era schierato con Donald Trump senza si e senza ma, fino al punto di rilanciare le sue accuse di brogli, dall’altra. Dall’altra aveva attaccato duramente la Cina, manifestando allo stesso ambasciatore della Repubblica Pppolare dubbi sul Sinovac.

 

Bolsonaro, per uscire dall’emergenza sanitaria, ha di recente svoltato in senso pro Pechino affidandosi soprattutto al vaccino cinese, e questo ha provocato l’ira del blocco di partiti moderati che fanno la maggioranza alla Camera e al Senato, e che hanno confermato la loro forza alle ultime amministrative: il cosiddetto “centrão”. Di questo “centrão” sono espressione sia il presidente del Senato Rodrigo Pacheco sia la Presidente della commissione Esteri dello stesso Senato Katia Abreu, promotori di un duro documento che ha forzato Araújo alle dimissioni. “La nostra politica estera è disastrosa e ha contribuito a fare del Brasile un paria mondiale e una minaccia globale”, c’era scritto. “La sua attuazione compromette perfino l’ottenimento di vaccini destinati a salvare la vita di milioni di brasiliani”.

 

Al posto di Araújo è andato Calos Alberto Franco: un diplomatico di carriera dal’immagine scialba, e appunto per questo rassicurante. A quel punto però Bolsonaro ne ha approfittato per fare il grande rimpasto, sembra dopo una riunione di soli cinque minuti. In particolare, per tenere buono il “centrão” ha messo la deputata Flávia Arruda alla Segreteria del Governo, che ha funzioni simili al nostro dicastero dei Rapporti col Parlamento. Ha preso il posto del generale Luis Eduardo Ramos, che è andato alla Casa Civile: una sorta di primo ministro, sostituendo l’altro generale Walter Braga Netto, che invece è finito alla Difesa al posto del dimissionario generale Fernando Azevedo e Silva: anche lui si era duramente scontrato con Bolsonaro, e la sua sostituzione ha appunto portato alle dimissioni dei tre comandanti delle Forze Armate. Dimissionario anche il ministro della Giustizia e Sicurezza Pubblica André Mendonça: un pastore presbiteriano che aveva preso il posto di Moro e che torna alla Procura Generale al posto del destituito José Levi. Al suo incarico va il capo della Polizia Federale Anderson Torres.

 

Se Franco e la Arruda portano un tocco di moderazione, Braga Netto e Torres mantengono invece caldi alcuni temi del bolsonarismo puro. L’uno, in particolare, ha tenuto la “celebrazione” per il golpe del 31 marzo 1964, l’altro approva i piani del presidente per rendere più facile la vendita di armi ai civili, in modo da promuovere le “autodifesa contro il crimine”.

 

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