Perché l'America non usa AstraZeneca

Daniele Raineri

Gli Stati Uniti hanno almeno cinquanta milioni di dosi, non le usano per problemi di trasparenza e perché aspettano un'approvazione con dati nuovi. Le tengono come scorta di riserva (e molti paesi le chiedono senza successo)

Perché l’America non ha ancora approvato e non usa il vaccino AstraZeneca, pur nel mezzo di una campagna di vaccinazione di massa senza eguali nella storia che procede al ritmo di milioni di vaccinati al giorno? Perché ci sono stati problemi di trasparenza con l’azienda produttrice l’anno scorso e anche perché gli americani non accettano i dati raccolti dagli altri ma vogliono rifare tutto il procedimento da capo. Questi due problemi si sono sommati e hanno creato un ritardo rispetto al Regno Unito, dove il vaccino è stato approvato a dicembre, e all’Unione europea, che ha approvato AstraZeneca a gennaio. Ci si aspetta che il vaccino sarà approvato dalla Fda (la Food and Drug Administration) nelle prossime settimane ma anche in questo caso potrebbe non essere mai usato perché nel frattempo il governo americano ha preferito puntare su altri, come il Johnson & Johnson che ha un procedimento di produzione simile ma ne basta una sola dose. 

 
In teoria il grosso delle vaccinazioni americane doveva avvenire con AstraZeneca, l’Amministrazione Trump l’anno scorso aveva dato all’azienda milleduecento milioni di dollari nell’ambito dell’Operazione Warp Speed per aiutare e velocizzare la ricerca e la produzione – come pure aveva finanziato altri produttori – e ne aveva ordinato trecento milioni di dosi.

Gli esperti all’epoca pensavano che AstraZeneca sarebbe stato il primo a essere approvato e che presentasse molti vantaggi sui concorrenti – come per esempio la facilità di conservazione e di spostamento, superiori al Pfizer BioNTech che richiede frigoriferi capaci di mantenere i 70 gradi sotto lo zero. Si calcolava che il 60 per cento degli americani avrebbe ricevuto quel vaccino e invece non ne è stata usata nemmeno una dose. Eppure ce ne sono trenta milioni in fiale pronte per l’uso in uno stabilimento a West Chester in Ohio e secondo il New York Times ci sono “decine di milioni di altre dosi” già prodotte, basterebbe soltanto metterle nelle fiale e distribuirle. 

Un primo disastro nel rapporto di fiducia con gli Stati Uniti è successo l’8 settembre, quando i dirigenti di AstraZeneca hanno incontrato gli esperti dell’Fda per aggiornarli. Poche ore dopo sui media apparve la notizia che AstraZeneca aveva sospeso la sperimentazione in tutto il mondo in attesa di chiarire il caso di un partecipante ai test che si era ammalato. Il caso fu poi chiarito, ma gli uomini dell’Fda rimasero sbalorditi dall’avere appreso dello stop dai media e non dai loro interlocutori di AstraZeneca, con i quali avevano appena finito di parlare. Poi c’è stata un’interruzione dei trial americani di quasi sette settimane perché AstraZeneca fu lenta a fornire alla Fda i dati che provavano che il vaccino non aveva causato problemi neurologici a due partecipanti. In questo caso si parla di trial americani perché la Fda non vuole basare la sua valutazione sui dati raccolti in Brasile e nel Regno Unito, quindi sui dati che sono serviti all’approvazione per l’uso a Londra e nell’Unione europea, vuole dati suoi e quindi ha fatto partire una sperimentazione soltanto americana con circa 32 mila partecipanti. Questo si traduce in un ritardo di mesi. Alcuni esperti hanno chiesto in pubblico e in modo polemico perché non fidarsi dei dati usati in Europa, ma l’Agenzia è stata irremovibile. Un motivo potrebbe essere che alcuni paesi europei hanno approvato AstraZeneca con riserva e per incompletezza dei dati hanno scelto di non somministrarlo a soggetti con più di sessantacinque anni di età. In Europa si sono fatti andare bene i dati della sperimentazione perché altrimenti i ritardi nella campagna vaccinale sarebbero troppo gravi, negli Stati Uniti hanno a disposizione quantità enormi  di altri vaccini e si sono presi il tempo per valutare meglio. 

 
L’Amministrazione Biden non vuole cedere le scorte inutilizzate di AstraZeneca (almeno cinquanta milioni di dosi) ai paesi che le stanno chiedendo perché vuole conservarle come stock di emergenza nel caso la produzione degli altri vaccini si fermasse per qualche ragione. In questo modo riuscirebbe a salvare l’obiettivo del “tutti gli adulti vaccinati entro maggio” annunciato dal presidente. Ma quelle scorte al massimo si conservano per sei mesi e fra vaccinazione e richiamo passano tre mesi, quindi una gran parte delle dosi di AstraZeneca prodotte negli Stati Uniti potrebbe scadere dentro ai magazzini.
 

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