Gli attivisti fuori dal tribunale a Hong Kong, il 1° marzo scorso (foto Ap)

Pechino vuole gli attivisti in galera e i “patrioti” al governo a Hong Kong

Secondo giorno di udienza per gli attivisti che avrebbero violato la legge sulla Sicurezza. Alle Due sessioni si parlerà molto dell'ex colonia inglese

Giulia Pompili

La Cina sta ripensando interamente il modello “un paese, due sistemi”, quello che dal 1997 garantisce l’autonomia all’ex colonia inglese. Se non sei un "patriota" non potrai avere incarichi pubblici. Intanto gli attivisti pro-democrazia iniziano il calvario giudiziario

E’ ricominciata ieri l’udienza dei 47 attivisti di Hong Kong accusati di aver violato la legge sulla Sicurezza nazionale, imposta da Pechino nell’ex colonia inglese il 1° luglio del 2020. La prima udienza di lunedì è durata quasi 14 ore, fino alle 3 del mattino, tanto che quattro degli avvocati della difesa hanno avuto bisogno di essere trasportati in ospedale. Centinaia di persone sono rimaste in coda, all’apertura del tribunale, per cercare di ottenere un posto tra il pubblico, gli altri sono rimasti fuori a sostenere gli imputati – compresi i rappresentanti dei consolati di Regno Unito, America, Canada, Germania, Olanda e Unione europea. Dopo la manifestazione di lunedì fuori dal tribunale, quarantadue persone sono state denunciate per assemblea illegale e un avvocato della difesa è stato arrestato per motivi di sicurezza. 

  
Il 6 gennaio scorso, in una imponente manifestazione di forza, mille agenti di polizia avevano arrestato più di cinquanta persone, tra attivisti ed ex parlamentari del Consiglio legislativo di Hong Kong, accusate di “sovversione dei poteri dello stato”. Avevano infatti organizzato le primarie legislative con l’obiettivo di arrivare a 35 membri eletti al Consiglio legislativo, e poi fermare l’approvazione del budget del governo locale, facendolo fallire. Una mossa astuta e legittima dal punto di vista del diritto, bloccata dalla legge sulla Sicurezza approvata ed entrata in vigore in fretta, e poi dagli arresti di massa (quasi cento sono le persone arrestate, ma molte di più quelle fermate o sotto controllo). Le udienze di questi giorni contro i 47 rinviati a giudizio sono il tentativo, da parte delle istituzioni di Hong Kong, di mostrarsi ancora in linea con lo stato di diritto. Ma ormai, nell’ex colonia inglese, tutto serve a contenere le manifestazioni dei cittadini, sempre più distanti dalle istituzioni.

  
Di Hong Kong si parlerà molto durante le Lianghui, le due sessioni che si aprono domani e dopodomani (è il tradizionale appuntamento politico di marzo a Pechino, quando la doppia assemblea, cioè l’Assemblea nazionale del popolo e la Conferenza politica consultiva del popolo cinese, è chiamata a legiferare). Pechino sta ripensando interamente il modello “un paese, due sistemi”, quello che dal 1997 garantisce l’autonomia all’ex colonia inglese. Inizia a circolare, anche nella Cina continentale, l’idea che nell’ultimo anno gli show di forza delle istituzioni contro gli autonomisti e i pro-democrazia abbiano ottenuto pochi risultati: gli arresti e le operazioni per intimidire e scoraggiare gli autonomisti, se continuate nel tempo, sono un’arma a doppio taglio per la reputazione di Pechino. La scorsa settimana Xia Baolong, il funzionario del governo centrale che si occupa degli affari di Hong Kong, ha detto che “coloro che si oppongono ai patrioti sono distruttori del principio ‘un paese, due sistemi’ e non gli dovrebbe essere consentito di prendere parte al potere politico della regione amministrativa speciale di Hong Kong. Né ora, né mai”. L’ipotesi, molto concreta, è che per Pechino sia arrivato il momento di riformare Hong Kong dall’interno, escludendo dall’amministrazione pubblica chiunque non “giuri” fedeltà al governo centrale. Per esempio, eliminando anche quella piccolissima parte di consiglieri legislativi che vengono votati direttamente dai cittadini. Sarebbe l’ultimo passo per eliminare definitivamente l’autonomia dell’ex colonia inglese. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.