(foto EPA)

L'Ue non ha fallito

David Carretta

Il successo della strategia sui vaccini dell’Unione europea spiegata al Corriere

“Vorrei commentare i fatti, non narrazioni e i fatti dicono che la strategia dei vaccini dell’Unione europea è un successo”, ha detto ieri il vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, rispondendo a una domanda del Foglio sul “fallimento clamoroso dell’Europa sui vaccini”. La sentenza è stata emessa da Aldo Cazzullo sul Corriere. La Commissione si è assicurata “2,6 miliardi di dosi, più del 25 per cento della capacità globale. Abbiamo assicurato che tutti gli europei possano avere accesso ai vaccini in tutta l’Ue. Abbiamo prevenuto uno scenario da incubo di nazionalismo del vaccino”, ha spiegato Schinas. Ma attenzione: mentre i critici passano il tempo a giudicare l’Ue, oggi “il centro di gravità” del problema si sta spostando dalla produzione di vaccini ai programmi di vaccinazione negli stati membri.

 

Cazzullo ha scritto che in Europa “i vaccini non ci sono, neppure per chi li vorrebbe”. In realtà, ieri in Italia c’erano più di un milione di dosi ferme nei frigoriferi. In grandi paesi, come Francia e Germania, meno del 30 per cento delle dosi consegnate da AstraZeneca sono state utilizzate finora. Le forniture aumentano. Nei prossimi mesi “avremo più dosi di quelle necessarie per raggiungere l’obiettivo del 70 per cento della popolazione adulta entro l’estate”, ha detto la commissaria alla Sanità, Stella Kyriakides: “La sfida più grande si sposta dalla produzione di vaccini alle campagne di somministrazione negli stati membri”. Per usare tutte le dosi che arriveranno tra aprile e giugno, l’Italia dovrebbe somministrarne più di 500 mila al giorno.

 

Per motivare la sua sentenza contro l’Ue, Cazzullo ha scritto che “l’Europa ha puntato tutto su AstraZeneca, che è arrivato molto dopo quello di Pfizer, e pur avendo alcuni vantaggi – costa meno, si trasporta più facilmente – ha un’efficacia inferiore”. In realtà, chi ha puntato (quasi) tutto su AstraZeneca è il Regno Unito, che è in cima alle classifiche mondiali per percentuale di popolazione che ha ricevuto la prima dose. La Commissione ha preferito costruire un portafoglio di vaccini che nessun altro al mondo può vantare per qualità e quantità. Per diversificare il rischio quando ancora non si sapeva quale vaccino sarebbe arrivato per primo con quale efficacia, ha scelto di avere un paniere ampio, con diverse tecnologie. Il risultato sono 600 milioni di dosi Pfizer-BioNTech (gli Usa ne hanno 300 milioni), 460 milioni Moderna, 405 milioni CureVac, 400 milioni Johnson & Johnson, 400 milioni AstraZeneca, 300 milioni Sanofi. Altri due contratti con Novavax e Valvena sono in arrivo. Cazzullo attribuisce la lentezza europea alla burocrazia e in particolare all’Ema. Anche in questo caso, la realtà è diversa dalla narrazione. Il Regno Unito ha seguìto le procedure dell’Ue per AstraZeneca e Pfizer-BioNTech, avvalendosi di una possibilità che hanno tutti gli stati membri: l’autorizzazione di emergenza (l’Ungheria l’ha usata per il russo Sputnik V e il cinese Sinopharm), che è sbrigativa sui dati e non prevede controlli essenziali per la sicurezza come agli impianti di produzione.

 

Le decisioni dell’Ema sono arrivate sempre un paio di settimane dopo quelle della Fda americana e per Johnson & Johnson la data prevista è l’11 marzo. Il ritardo è dovuto alla scelta delle società farmaceutiche di fare domanda prima alla Fda e poi all’Ema. Il che porta al grande equivoco Sputnik V. L’Aifa ha detto che è “ottimo” e “l’Europa è lì proprio per prendere decisioni politiche. Cos’altro aspetta?”, si è chiesto Cazzullo. In realtà, l’Ema non può autorizzarlo se prima non riceve la richiesta per il via libera. Ma Sputnik non ha mai fatto domanda. Perché? La Russia non ha capacità produttive sufficienti e ci vorrebbero mesi per fabbricare centinaia di milioni di dosi per l’Ue. Ma, offrendo le poche dosi che ha a piccoli paesi come l’Ungheria, ha gioco facile a dividere gli europei.