
Proteste contro il colpo di stato in Myanmar (foto EPA)
In Myanmar lo spazio per una soluzione pacifica s'è chiuso
Le proteste contro il colpo di stato dei militari non si fermano. un’unica domanda: che farà la Cina?
Bangkok. “Quello che mi fa più paura è l’effetto confronto”, dice al Foglio un diplomatico occidentale. “Il Myanmar rischia di diventare il ‘cattivo esempio’ che potrebbe far apparire leggere le forme di repressione in altri paesi dell’area. Una dittatura che ne assolverebbe altre”. Lunedì 22 febbraio, che nell’elusiva numerologia degli astrologi locali è la data 22222, i militari birmani sembrano ancora incerti se dare il cattivo esempio o allinearsi sulle posizioni regionali di “democrazia fiorente nella disciplina”. In questa giornata di sciopero e manifestazioni, decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade della Birmania, dai contrafforti himalayani sino al sud tropicale. La maggior parte di loro è pacifica, adotta una politica di disobbedienza civile, unita alle forme della neocontestazione culturale: hackeraggio, diffusione di fake news, un’iconografia pop i cui segni (come le tre dita simbolo di protesta nel film “Hunger Games”) sono riprodotti in polistirolo e venduti agli angoli delle strade. Alle tattiche creative i militanti del Civil Disobedience Movement aggiungono le tradizionali pratiche di condivisione buddista ridefinite come “sharing economy”. A ogni angolo di strada sono allestiti banchetti in cui viene offerto da bere e mangiare. I ristoranti invece si astengono dallo sciopero in violazione delle norme anticovid. In compenso, da quando i militari hanno preso il potere, il coronavirus sembra scomparso.
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