Un Foglio internazionale

“La suscettibilità dei social network impone la legge del silenzio”

Redazione

La filosofa francese Elisabeth Badinter deplora l’estensione del dominio dei temi ultrasensibili sui media intimiditi

L’Express – Cosa pensa della cacciata di Alain Finkielkraut da Lci dopo la polemica suscitata dalle sue dichiarazioni sull’affaire Olivier Duhamel (politologo ed ex eurodeputato socialista accusato di aver abusato sessualmente del figliastro, ndr)?

  

Elisabeth Badinter – Credo sia il segnale che i media cominciano a sottomettersi ai social network. E’ evidente che ci sia una preoccupazione sempre più grande verso le opinioni manifestate sui social, e persino una paura di essere ridicolizzati attraverso questi canali per aver dato spazio a una certa idea, lasciato passare una certa parola in un articolo, o un certo disegno… E devo dire che sono rimasta sorpresa dal fatto che Lci, nel caso di Alain Finkielkraut, e il Monde, nel caso di Xavier Gorce, si siano sentiti obbligati a “cancellare” o a chiedere scusa. Sono dei media potenti – una rete televisiva e un giornale autorevole – che tuttavia sembrano irrequieti dinanzi alle indignazioni dei social network. Ciò significa che una minoranza sta imponendo la sua legge alla maggioranza: la legge del silenzio.  

 

Prova la stessa sensazione per il caso del Monde, che non ha ritirato il disegno di Gorce, ma si è scusato per averlo pubblicato sul suo sito?

 

Sì, perché il Monde si è affrettato a scusarsi in seguito a un’ondata di indignazione sui social network. Queste affaires suscitano in me la stessa sensazione, la stessa paura che avevo avuto in occasione del processo delle caricature di Charlie Hebdo nel 2007, al quale ero testimone. Ero convinta che se il giornale fosse stato condannato, il silenzio si sarebbe imposto progressivamente nella società: più nessuno avrebbe osato criticare una religione o farsi beffa di essa. La situazione non è la stessa nelle due affaires di cui stiamo parlando, ma si tratta comunque di un’estensione del dominio dei temi ultrasensibili. Ciò non riguarda più solo le religioni, ma anche la sessualità, le identità, il genere – nella fattispecie, il Monde temeva che le persone trans si sentissero umiliate dalla vignetta. Trovo che l’estensione dei temi che è vietato commentare sia molto rapida. Quando per paura di offendere, scioccare, contrariare, una società si impone il silenzio, significa che è contaminata da un veleno. Un veleno mortifero per la democrazia. 

 

Questi media, tuttavia, fanno valere l’idea che esercitano la loro sovranità editoriale. E che oramai devono prestare attenzione a problematiche che un tempo non erano tenute sufficientemente in considerazione secondo loro…

 

I giornali hanno la propria linea editoriale, è il loro diritto più assoluto. Ciononostante, il modo in cui è stato vietato ad Alain Finkielkraut di esprimersi almeno un’ultima volta su ciò che considerava un malinteso è inquietante. 

 

I difensori del nuovo politicamente corretto rifiutano la constatazione di un silenzio che si starebbe progressivamente imponendo. E avanzano come prova il fatto che alcuni dei fustigatori più virulenti del politicamente corretto trovino quotidianamente spazio per esprimersi su Cnews, Sud Radio, etc. 

  

Una precisazione anzitutto: la libertà di parola e la libertà di opinione sono universali, altrimenti non esistono più. Tutti hanno diritto di esprimersi purché non vengano attaccati gli individui, non si inciti all’odio o alla violenza, ovviamente. Insomma, dal momento in cui si rispetta il quadro fissato fortunatamente dalla legge. Non si vieta ai membri del Rassemblement national o all’estrema sinistra di esprimersi, ed è giusto così. Penso che una parte della radicalizzazione dei discorsi attualmente in corso, soprattutto sui social network, sia una risposta all’irresistibile ascesa del politicamente corretto, che vuole incarnare la morale. Non si può imporre a lungo il silenzio senza provocare una reazione sempre più violenta. E’ così. Far entrare un numero sempre più ampio di persone nella categoria dei malpensanti – che equivale per loro a essere cancelled, scomunicati dai media cosiddetti progressisti – non può che suscitare un’altra forma di violenza. Più intimidirete le persone di buona fede che amano il dibattito – quelli che sono mossi dai dubbi e aperti a dibattere – più garantirete il successo dei più virulenti, che invece continueranno a esprimersi. Più caccerete alcune sensibilità dai media tradizionali, più vedrete progredire la versione più radicale altrove. E’ per questo motivo che ho paura per le nostre democrazie. E’ un male che consuma la cultura occidentale. Una cosa è certa: la violenza delle parole sarà sempre più grande di fronte a questa ingiunzione di tacere. (Traduzione di Mauro Zanon)

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