L'intervista
La forza della democrazia contro lo stato di emergenza permanente
Il rapporto dei governi con il fallimento, Putin e la paura delle trasgressioni e il grande dispetto fatto agli Stati Uniti: normalizzarli
L'Europa in questa crisi ha trovato la soluzione a tante discussioni del passato, ma la tenuta dei suoi sistemi si vedrà quando finirà la pandemia. Il barometro dei cambiamenti sarà l'America stravolta dal virus e da Trump. Parla Ivan Krastev
Roma. Come ne uscirà il genere umano da questa pandemia, è una delle domande che ci siamo posti più spesso. Durante la prima ondata si affermava con sicurezza che ne saremmo usciti migliori, durante la seconda la certezza sembra essere scomparsa e con essa anche la domanda. Meglio non porla, la risposta potrebbe non piacerci. Ivan Krastev, politologo, presidente del Centro di strategie liberali a Sofia e opinionista del New York Times, si è invece domandato come ne usciranno le nostre democrazie e le ipotesi, offerte attraverso il racconto di sette paradossi, sono diventate un libro: “Lezioni per il futuro” (Mondadori). Bilanci, Krastev ancora non ne traccia, “è presto”, dice al Foglio, “bisogna aspettare che la pandemia finisca per capire come stanno le nostre democrazie dopo questa esperienza. In Europa è successa una cosa alla quale non eravamo abituati: i governi si sono ritrovati con molto potere di interferire nella vita privata dei cittadini. La mascherina, il distanziamento, il divieto di uscire hanno generato due reazioni. Qualcuno l’ha visto come un modo per reprimere la libertà, altri invece hanno sospirato: ecco, finalmente il governo si prende delle responsabilità”. Non eravamo abituati a sentirla così forte la presenza delle istituzioni, e all’improvviso sono diventate un appuntamento costante. I governi erano entità impercettibili, durante la pandemia sono diventati forti e visibili, onnipresenti. In alcuni casi le democrazie hanno imposto restrizioni anche più forti dei regimi e anzi, alcuni paesi come la Russia, dai quali ci si sarebbe aspettati una risposta forte contro il virus, si sono dimostrati molto meno incisivi di tanti paesi europei. “In Russia, questa è stata la prima crisi in cui Vladimir Putin ha fatto di tutto per non essere visto come quello seduto dalla parte del conducente, in quelle precedenti parlava, viaggiava, arringava. Da marzo si è rinchiuso e ha lasciato che fossero gli altri, i sindaci, i governatori locali, quelli più esposti. E’ una reazione insolita, ma si spiega con un principio semplice. Se in una democrazia il governo mette l’obbligo di mascherina o di non uscire di casa, e l’obbligo viene trasgredito, non è vissuto come un fallimento, ma è la normalità. In un regime autoritario il fallimento, il non essere ascoltato non è contemplato perché la disobbedienza gli toglie ogni legittimazione. E’ per questo che molti regimi autoritari sono stati cauti nell’implementare le loro restrizioni. La democrazia è un sistema che sopravvive e ragiona sui fallimenti, il regime no. La Russia si è dimostrata flessibile e il Cremlino ha cercato di far sentire la sua presenza su altri piani”. Per esempio registrando per prima il vaccino contro il Covid-19, nonostante i dubbi della comunità scientifica internazionale. Secondo Krastev le trasformazioni ci saranno e le democrazie dimostreranno di essere state più resistenti dei regimi nel gestire la crisi quando ne usciranno. “La vera prova per i nostri sistemi democratici sarà quando dovranno fare una distinzione tra emergenza e normali funzioni istituzionali. Credo che sia importante che i governi diano risposte efficaci in questo momento di crisi, ma bisogna stare attenti che alcuni paesi non cerchino di istituzionalizzare lo stato di emergenza”. Chi terrà gli eccessi avrà fallito, dice il politologo per il quale quando tutto sarà finito bisognerà anche cercare di rimettere insieme i pezzi delle nostre società divise. “Si pensava che il momento difficile unificasse, non è stato così. In modo particolare negli Stati Uniti”.
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- Micol Flammini
Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.