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editoriali

Il ghigno di Putin su Navalny

Anna Zafesova

Il presidente risponde alle accuse con una risata che lo ha mostrato piccolissimo

C’era una sola domanda che tutto il mondo voleva fare a Vladimir Putin durante la sua conferenza stampa annuale. A nessuno interessava ascoltarlo vantarsi dei successi della Russia nella lotta alla pandemia, dell’efficienza del suo vaccino, della ripresa economica e dell’impeccabile condotta di Mosca negli affari internazionali. Un repertorio già noto, e in buona parte come minimo contraddetto dai fatti. Tutti aspettavano con ansia e curiosità una sola risposta: la reazione del presidente russo all’indagine del team di Bellingcat che accusa gli agenti dei servizi segreti russi di aver avvelenato Alexei Navalny. Un’accusa con nomi, cognomi, indirizzi e numeri di telefono. Una di quelle accuse che colpiscono un regime al cuore, che non si lava più via, che annienta qualunque altra agenda di un governo. Il Cremlino ha taciuto per tre giorni. Infine, nel dilemma se ignorare le accuse o smentire e contrattaccare, gli spin doctor hanno optato per una terza via: sminuire, e Putin si è addirittura lanciato in una bonaria risatina: “A chi serve avvelenarlo?”.

 

Nella versione di Putin, Navalny è a) un agente dello spionaggio americano, b) il team di “chimici” dei servizi russi lo pedinava da anni in quanto spia degli americani, sapendo di venire pedinati a loro volta dagli americani e c) “se avessimo voluto farlo fuori, l’avremmo finito”. Se Navalny avesse detto il falso sarebbe stato da incriminare per calunnia, come può succedere a qualunque utente dei social russo che critica un qualunque funzionario di provincia. Se fosse stato un agente della Cia, sarebbe stato da indagare. Se fosse stato avvelenato dagli americani, dagli inglesi o dai tedeschi, come ha sostenuto il ministro degli Esteri Lavrov, Mosca avrebbe aperto una mega-inchiesta, perché nessuno stato tollera che le agenzie di spionaggio straniere avvelenino i suoi cittadini sul suo territorio. Il presidente sceglie di ridacchiare e di ricordare che, se avesse deciso di avvelenare l’uomo che non menziona mai per nome, ci sarebbe riuscito senz’altro. Perché crede che una battuta del genere si addica a un grande leader. E questa è forse la rivelazione che dà alle accuse di Navalny più peso di qualunque intercettazione telefonica.

 

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