Tutti amici e pronti ad aiutarsi in Europa, basta che non si tratti degli inglesi
Secondo la tabella della solidarietà Ue pubblicata da YouGov, in caso di crisi solo 4 nazioni sarebbero disposte ad aiutare il Regno Unito (c’entra la Brexit)
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La Global Britain non decolla. Pochi accordi internazionali
Roma. Brexit means Brexit, ce lo hanno ripetuto così tante volte i falchi del divorzio europeo che alla fine ci siamo convinti tutti: Brexit vuol dire Brexit e la vittoria del leave sul remain, quando nel 2016 con il referendum si è trasformata in realtà, ha fatto subito molta paura ai sostenitori del progetto europeo. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sembrava dovesse significare la fine dell’Ue stessa e l’inizio di un terremoto interminabile fatto di una exit dietro l’altra. E invece no, l’Ue ha retto e, come scrive il commentatore del Financial Times Gideon Rachman, da questa separazione ne è uscita un’Unione più forte, più collaborativa e anche più ambiziosa. I negoziati per il Recovery fund non sono stati semplici, i quattro frugali, con i Paesi Bassi in testa, hanno puntato i piedi a lungo, ma alla fine è stato raggiunto un accordo importante che con i britannici a Bruxelles sarebbe stato molto più difficile da siglare. Forse impossibile. O forse Angela Merkel e Emmanuel Macron non avrebbero nemmeno provato a rilanciare il progetto europeo con tanto coraggio durante la pandemia. La Brexit ha fatto bene all’Unione europea, ha aperto una nuova stagione fatta di cooperazione e solidarietà. Chi aveva scommesso sull’uscita del Regno Unito dall’Ue per indebolire l’Unione, ha perso la scommessa, anche “il presidente russo aveva torto”, scrive Rachman.
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