Formule bistrattate

Anche BoJo si appropria di un suo “New Deal” per i poco amati (e ibernati)

Paola Peduzzi

Il termine viene utilizzato per qualsiasi investimento un po' fuori scala rispetto alla media o per tutto quello che ha a che fare con l’ambiente tanto che un pochino ci siamo assuefatti e ai “New Deal” crediamo un po’ meno

Milano. “Build build build” c’era scritto sul podio da cui ha parlato ieri Boris Johnson: cacciamo via la crisi costruendo, ha detto il premier britannico, “non possiamo restare prigionieri di questa crisi”, ora si esce “dall’ibernazione” in cui siamo stati costretti dal Covid-19. Il “New Deal” britannico, come lo chiama Johnson e come lo chiamavano tutti sui giornali e in tv, con occhi rovesciati all’indietro perché non c’è formula più abusata del “New Deal” né formula più sacra, ché di New Deal ce n’è stato e ce n’è uno solo. La proposta di Johnson è di 5 miliardi di investimenti in infrastrutture – costruiamo costruiamo costruiamo – ed è il primo elemento di una proposta di rilancio che verrà poi definita nel suo complesso dal cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, la prossima settimana.

  

Il progetto di Johnson riguarda le regioni centrali del Regno Unito che il premier ha definito “dimenticate, neglette, poco amate”: questo è il nuovo bacino elettorale dei Tory al governo, il posto in cui il governo ha deciso di sacrificare la sua cultura economicamente austera. Lo aveva fatto prima dell’arrivo della pandemia e a maggior ragione lo fa adesso che l’economia si è ristretta a livelli mai visti (sono usciti i dati ieri, la progressione del collasso tra marzo e giugno è stata molto rapida) e che il governo ha bisogno di restaurare la sua immagine ammaccata dalla gestione improvvisata e improvvida della crisi da coronavirus.

 

Anche la Banca d’Inghilterra ha cercato di agevolare questo messaggio ottimista ieri – costruiamo costruiamo costruiamo – per bocca dell’economista capo dell’istituto, Andy Haldane, che ha lasciato intravvedere la forma più rassicurante di ripresa, quella fatta a V, la più bella di tutti, perché una volta che hai toccato il fondo non puoi che rimbalzare verso l’alto. Certo, devi riconoscerlo, questo fondo, ma Haldane dice che ormai ci siamo, si tratta di adattarsi alla convivenza con il virus, con una V a portata di mano sembra persino promettente, quest’uscita dall’ibernazione.

  

Il popolo conservatore è molto sensibile al tema della costruzione come via per uscire dalla crisi: molti ieri ricordavano il discorso del 2015 che tenne l’allora cancelliere dello Scacchiere George Osborne, passato alla storia con il titolo di “We are the builders”, sognatori con il caschetto sulla testa. Per le zone abituate al disamore la costruzione è fatta di ospedali e scuole nuove, di strade sistemate e di una nuova viabilità, una promessa concreta che infatti è stata festeggiata da parlamentari e media di area con molte fanfare.

    

Ma poi c’è la faccenda del “New Deal”: il termine viene utilizzato per qualsiasi investimento un poco fuori scala rispetto alla media o per tutto quello che ha a che fare con l’ambiente tanto che un pochino ci siamo assuefatti e ai New Deal crediamo un po’ meno. Allo stesso tempo, soprattutto a sinistra, il New Deal è intoccabile, si tollera al limite il “green” ma per il resto soprattutto la destra deve mantenere le distanze. Perché di New Deal ce n’è uno, ed è quello di Roosevelt, ed era ciclopico e aveva i suoi simboli e pure delle riforme che tendiamo spesso a dimenticare. Quindi ieri molti – a partire dall’attivissimo leader del Labour, Keir Starmer – dicevano che il “New Deal” era tutta un’altra cosa in termini di numeri e che nella proposta di Johnson non c’è nulla di nuovo (coccoli i tuoi nuovi elettori, lo sappiamo) né un accordo vantaggioso perché per ora i posti di lavoro non sono nemmeno quantificati.

  

Per questi aspetti si deve aspettare il cancelliere dello scacchiere Sunak che più di tutti (più del premier) è riuscito a incarnare la svolta compassionevole del governo conservatore – svolta imposta dalla crisi. Ma tanto per capirsi: il New Deal rooseveltiano valeva il 40 per cento del pil americano, quello di Johnson (nella sua versione senza Sunak) vale lo 0,2 per cento del pil britannico. E per fare un confronto europeo, con una leadership che davvero ha deciso di cambiare di fronte all’emergenza Covid, basta guardare la Germania. Lo stimolo all’economia della cancelliera, Angela Merkel, senza fanfare da “New Deal”, vale il 4 per cento del pil.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi