(foto LaPresse)

Un'altra ondata

Controllo del virus senza panico. Ecco il modello dei lockdown “smart”

Paola Peduzzi

I dati del contagio peggiorano in Europa, alcune regioni devono richiudere. Come? Qualche esempio

Milano. Settecentomila portoghesi che abitano nella zona a nord di Lisbona sono in “smart lockdown”, come si dice oggi, cioè se non è assolutamente necessario che escano, è bene che stiano a casa. Il Portogallo è uscito dallo “stato di calamità” ed è entrato in quello di “allerta”: dove i numeri del contagio da coronavirus crescono in modo superiore rispetto alla media, si devono reintrodurre misure restrittive. E’ quel che è avvenuto in Germania, nel florido Nordreno-Vestfalia in cui abbiamo scoperto un’ombra scura nei mattatoi del signor Tönnes – misure sanitarie e diritto del lavoro non proprio al massimo, diciamo – e un focolaio enorme di coronavirus: “Smart lockdown” pure qui. Nell’infelicità degli amministratori locali, ovviamente, ché nel mezzo della ripartenza dover richiudere è un problema pratico e d’immagine – se sei una città o una regione che è anche meta turistica è ancora peggio – ma questa è la convivenza con il virus di cui parliamo da molto tempo: si deve essere pronti allo “smart lockdown”.

 

L’ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale per la sanità ha detto che la recrudescenza del Covid è preoccupante: “L’accelerazione della trasmissione” è evidente nei dati da una decina di giorni e riguarda in particolare undici paesi dell’area europea (che per l’Oms è una regione enorme che comprende anche la Russia, le ex repubbliche sovietiche, Israele), dove è necessario imporre misure di contenimento. Buona parte delle alternative oggi possibili a chi deve controllare aree delimitate del proprio paese dipende dalle modalità che sono state scelte per la riapertura. 

 

In Spagna per esempio sono stati individuati quaranta nuovi focolai di coronavirus: il 21 giugno, quindi pochi giorni fa, era stato decretato l’ingresso del paese nella “nuova normalità” – accesso alle seconde case, riapertura di voli aerei e del confine con la Francia, non tutto. Ma qualche giorno dopo due province sono state retrocesse rispetto alla fase della riapertura e hanno dovuto reintrodurre misure restrittive. In particolare la provincia di Huesca, in Aragona, è stata “retrocessa” alla fase precedente, con limitazioni di assembramenti e di movimento. Il focolaio più grande è in un’azienda agricola: i contagiati sono soprattutto tra i lavoratori che raccolgono frutta e verdura.

 

Il meccanismo dello “smart lockdown” è abbastanza automatico: sono stati fissati alcuni criteri di riferimento e se non vengono più rispettati si torna indietro nella scala del ritorno alla (nuova) normalità. L’unico problema che deve essere gestito dal governo centrale e che è poco maneggevole riguarda i movimenti fuori dall’area temporaneamente richiusa: al momento, dicono le cronache locali, più dei permessi e dei divieti contano responsabilità e buon senso dei cittadini, come nel lockdown originario. Non mancano le accuse, ovviamente, in particolare nel sud della Spagna dove sono stati accolti i turisti britannici: il Regno Unito sta uscendo dal lockdown litigando anche sulla distanza sociale (un metro e mezzo o due?) ma le immagini di parchi e spiagge affollatissimi stanno costringendo le autorità a continui interventi. In Spagna molti temono che il focolaio sia l’incoscienza stessa degli inglesi, e lo temono anche molti commentatori inglesi.

 

La forza di questi “smart lockdown” sta nella certezza dei dati, nella reattività e nella autonomia degli amministratori locali. La responsabilità, in questa lunga fase di convivenza con il virus (lunga fino alla scoperta del vaccino), è dei cittadini come prima ma molto di più dei governi che devono reagire in modo deciso ma non allarmistico ai focolai. Più il piano di apertura è chiaro e poco arbitrario, più gli “smart lockdown” possono funzionare. Naturalmente la loro efficacia è condizionata dal fatto che sono stati preceduti da lockdown rigorosi e lunghi (cento giorni in Spagna), e che le misure di prevenzione di base – la mascherina e il disinfettante – non sono state strumentalizzate nel dibattito politico. E’ il motivo per cui questo modello europeo è difficilmente esportabile altrove, nell’America dell’incertezza e della pandemia “fuori controllo” in particolare.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi