Emmanuel Macron con il primo ministro olandese Mark Rutte a pranzo all'Aia

L'amore adulto dell'Ue

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Merkel e Macron si vedono (dal vivo!) per dividersi il lavoro sul Recovery fund. Com’è cambiato il loro rapporto, come convinceranno i frugali e il terzo incomodo di nome Trump

Lunedì Angela Merkel riceverà Emmanuel Macron nella residenza estiva di Mesenberg, il palazzo barocco a una settantina di chilometri da Berlino che il governo tedesco ha preso in affitto nel 2004 – dalla Fondazione Messerschmitt, al prezzo simbolico di un euro l’anno – e che è una delle sedi più amate dalla cancelliera. Nel 2018 la Merkel e Macron siglarono una dichiarazione d’intenti che era una road map per le riforme dell’Unione europea: c’erano tutti i cantieri aperti, dall’unione monetaria e fiscale alla difesa comune, e c’era ancora una grande sintonia tra la cancelliera e il presidente francese – non la magia del primo incontro, ma pur sempre una scintilla accesa. Poi i rapporti pur formalmente cortesi si sono guastati: il cuore franco-tedesco non ha smesso di battere, non smette mai per quanto molti altri paesi europei ci sperino spesso, ma le divergenze sono diventate evidenti. Nelle chiacchiere che abbiamo fatto con commentatori ed esperti europei sono emerse molte di queste divergenze, di metodo e sostanza, che hanno contribuito a rallentamenti, divisioni, decisioni rimandate – è lo zoppichìo europeo che fa ammattire gli europeisti. Oggi l’incontro a Mesenberg ha tutto un altro sapore e significato: l’Europa si è trasformata in pochissimi mesi, sono cambiate priorità e urgenze, è cambiata – rivoluzionata – la stessa Merkel che di fronte all’emergenza del Covid ha messo via le sue convinzioni di gestione dei soldi interni all’Ue e ha abbracciato la Francia di Macron, e la mutualizzazione del debito.

 

Il presidente francese ha avviato una charme offensive con il nord, soprattutto con l’Olanda, e cerca di costruire credibilità al sud

Il Recovery fund in discussione in queste settimane è l’espressione di questa ultima, sconvolgente trasformazione della Merkel e l’incontro tra la cancelliera e il presidente francese può essere l’inizio di una nuova fase nel matrimonio franco-tedesco: quella dell’amore adulto. Meno magia (la citò la stessa Merkel la magia, al primo incontro con Macron, facendoci sdilinquire), più responsabilità in particolare nei confronti degli altri paesi – prima di tutto l’Italia. Pragmatismo e collaborazione, si lavora insieme per salvarsi insieme, tutta la famiglia al sicuro altrimenti non lo è nessuno – “forse non lo sai ma pure questo è amore”. Merkel e Macron si sono divisi il lavoro, lunedì si vedranno – anche vedersi oggi è un passo in avanti, una consuetudine che ha ritrovato valore – per confrontarsi su come sta andando. La Merkel assume la presidenza del semestre europeo, la prossima settimana, mentre Macron in questi giorni si dedica a due fronti: la charme offensive con i paesi frugali che si oppongono al Recovery fund e la costruzione dell’altro lato del patto, quello del fronte sud. Perché se è vero che il Recovery fund apre alla mutualizzazione del debito è anche vero che i paesi che riceveranno più fondi devono costruire una loro credibilità.

  

Un “bonbon” per i frugali

Il presidente francese vuole portare i quattro paesi frugali – Paesi bassi, Austria, Svezia e Danimarca – alla conversione filosofica cui ha portato la Merkel (non lo ha fatto da solo ovviamente, ci sono state altre pressioni e altri eventi). L’Opinion ha pubblicato un articolo in occasione della visita di Macron al premier olandese Mark Rutte, martedì sera all’Aia in cui spiega la strategia francese. Mathieu Solal, autore dell’articolo, dice che la missione è molto difficile perché l’opposizione dei frugali “va al di là della razionalità economica: questi capi di governo di coalizioni in cui sono minoranza – tranne che in Austria – devono gestire la pressione dei partiti euroscettici. Nei Paesi Bassi, il 61 per cento della popolazione è contrario al piano della Commissione, il 4 per cento dà un consenso pieno”. Secondo l’esperto Lain Begg della London School of Economics, bisogna trovare un “bonbon” che convinca Paesi Bassi e Austria, i più duri dei frugali. Con Svezia e Danimarca, sostiene Begg, “il discorso della solidarietà può funzionare”, ma con gli altri no. Si tratta di trovarlo, questo “bonbon”, che ha la forma più prosaica del rebate (lo sconto) ma che ancora non sembra sufficiente. Nell’incontro di martedì – una cena senza giacca e a non eccessiva distanza – Macron ha voluto sottolineare la convergenza: nelle charme offensive si fa così, si sottolineano i punti in comune. E il punto di contatto è la “fibra europea”, quell’appartenenza che alla fine mette tutti d’accordo. In realtà, oltre che agli sconti, gli olandesi guardano a come saranno utilizzati i soldi del Recovery fund. In questo caso Macron deve farsi portavoce dei paesi che sono stati più colpiti dal Covid e che quindi riceveranno più fondi.

 

Chi garantisce per il fronte sud

Nella ripartizione dei compiti con la Merkel, al presidente francese tocca quello di farsi garante del sud dell’Europa. Dell’Italia e della Spagna soprattutto. Le richieste sono esplicite, il ministro degli Esteri olandese, Stef Blok, è stato molto diretto dopo il suo incontro, sempre martedì, con il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e il ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola: “Ogni pacchetto di ripresa deve essere fondato sulla base di un’economia più competitiva e finanze pubbliche più sostenibili”. Si tratta in sostanza di dire come si spenderanno i fondi europei perché, come dice Blok, “vogliamo evitare di ritrovarci attorno a un tavolo il prossimo anno nuovamente con problemi finanziari”.

  

Suo malgrado, il presidente americano aiuta il cuore franco-tedesco. E’ iniziata la geopolitica della compensazione

“Tutto quello che tocca diventa merda”

Suo malgrado, anche Donald Trump ha contribuito all’amore adulto tra Macron e la Merkel. Nessuno va più d’accordo con il presidente americano e molte relazioni diplomatiche sono diventate una compensazione, lezioni di sopravvivenza senza l’America. La Merkel si trova a discutere persino di truppe dislocate, per non parlare delle possibili rappresaglie commerciali. Ma anche con Macron le cose non vanno bene. Il presidente francese aveva iniziato molto bene, la magia dell’inizio valeva anche per il rapporto transatlantico. Poi tutto si è deteriorato, e le possibilità di ripresa sono invero molto basse. A dare le parole a questa rottura è arrivato John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza di Trump autore di un libro – “The Room Where It Happened” – sul suo capo e sulla politica estera americana. Bolton cita una frase che Trump ha detto su Macron: “Tutto quello che tocca diventa merda”. Era l’8 agosto del 2019, e va detto che Bolton era d’accordo con Trump perché Macron stava tentando un salvataggio dei rapporti con l’Iran a cui Bolton era molto contrario. Un altro episodio gustoso riguarda il vertice del G7 del 2018, in Canada (quello in cui Trump andò via prima, arrabbiatissimo: nella classifica trumpiana, Macron è precipitato al livello infimo del premier canadese Justin Trudeau), quando Trump dice che “l’Europa è peggio della Cina, solo più piccola”. Il mese successivo, al vertice della Nato a Bruxelles, Trump incontra Macron e lo accusa di divulgare le loro conversazioni private. “Macron nega con un gran sorriso – scrive Bolton – Trump con un grande sorriso si volta verso Mattis (allora segretario alla Difesa, ndr), come per dire che lui sa benissimo da dove vengono le continue indiscrezioni”.

  

E se lasciamo fuori gli americani?

Non c’è accordo sulla riapertura delle frontiere esterne ai cittadini americani. Le liste che circolano e la decisione tormentata

Il rapporto con gli Stati Uniti di Donald Trump è preoccupante, Angela Merkel si è già arresa di fronte a questi quattro anni di evidenze, ha deciso di fare da sé e di spronare gli europei a fare altrettanto, come se l’amico di sempre fosse scomparso. Quel che il capo della Casa Bianca pensa degli europei ormai si sa, dei loro leader, peggio ancora e se non lo sapevamo è appunto arrivato il libro di Bolton per farlo capire meglio. Ora potrebbe intrufolarsi un nuovo elemento di rottura nel mezzo di questa relazione a brandelli e riguarda la riapertura dei confini europei. Gli ambasciatori Ue devono decidere come riaprire le frontiere esterne e ci provano da una settimana senza venirne a capo, non c’è unanimità. Anche ieri si sono riuniti, ma senza risultato. Il New York Times intanto è venuto in possesso di una bozza della riunione di lunedì scorso, una lista che comprende viaggiatori accettabili e viaggiatori indesiderati. Gli americani comparirebbero tra i secondi assieme ai brasiliani e ai russi. “Ci sono anche i macedoni”, ha suggerito qualcuno per tranquillizzare gli americani e far capire che non c’è nulla di personale, ma che è difficile lasciar entrare i cittadini di un paese in cui il presidente suggerisce di diminuire il numero dei test per far diminuire anche i casi. Tra i paesi indesiderati però non compare la Cina e questo è un altro elemento che potrebbe aumentare la discordia. Gli ambasciatori Ue non riescono a trovare una soluzione, le frontiere dovrebbero riaprire il primo luglio e la decisione è stata rimandata a venerdì.

   

Quello che pensavamo

  

Una ricerca europea sfata tre miti e dice che non è vero che la pandemia ha rafforzato sovranisti ed euroscettici

La pandemia forse ci ha cambiati tutti davvero, sono venute fuori nuove necessità, la direzione della nostra fiducia è cambiata e anche quella della nostra sfiducia. Ivan Krastev, presidente del Centre for Liberal Strategies, e Mark Leonard, fondatore e direttore dello European center for foreign relations, hanno analizzato l’impatto della crisi sanitaria su quello che gli europei pensano in fatto di politica estera, e hanno scoperto che anche il modo di vedere il mondo dopo la pandemia è cambiato, sembra tutto più unito, più interconnesso e dal loro studio condotto su nove paesi sono venute fuori anche belle notizie: il 76 per cento degli italiani è a favore di un piano di ripartenza che sia coordinato dall’Unione europea. E il 63 per cento dei cittadini Ue crede che sia necessaria una maggiore cooperazione tra stati membri. Gli analisti hanno provato a raccontare come pensano gli europei dopo la pandemia e il loro studio smentisce alcune illusioni che ci eravamo fatti in questi mesi, nel male ma anche nel bene. Secondo Krastev e Leonard la prima illusione riguarda il fatto che non è vero che i cittadini chiedono più intervento dei loro stati nazionali per risolvere la crisi. I numeri non sono omogenei, i danesi, per esempio, si fidano moltissimo del loro governo, la Francia molto meno. Seconda illusione, purtroppo, secondo i due analisti, non è vero che i cittadini si fidano di più degli esperti, e anzi l’Italia in questo non fa ben sperare, soltanto un intervistato su quattro ha risposto che crede nell’utilità del parere degli esperti. Gli esperti vanno forte in Danimarca e anche in Svezia, nonostante la crisi identitaria di quest’ultimo periodo sulla gestione della pandemia. Terza illusione sfatata, ma noi già un po’ lo sapevamo: non è vero che la pandemia ha rafforzato sovranisti ed euroscettici. A dire la verità non è cresciuto neppure il numero di persone a favore del federalismo europeo, ma i cittadini che vorrebbero più integrazione, più cooperazione, e più coordinamento sono in crescita.

 

Quello che penseremo

Ivan Krastev e Mark Leonard hanno anche identificato tre gruppi principali di elettori europei, a seconda di come le persone si aspettano di vivere dopo la pandemia. Ci sono i New Cold Warriors, che sono il 15 per cento degli intervistati e sono coloro che si ritroveranno a vivere in un mondo bipolare, con gli Stati Uniti da una parte e la Cina con Russia e Iran dall’altra. Il secondo gruppo di elettori è costituito dai “DIYers”, quelli che si fanno da sé e sono il 29 per cento degli intervistati. Sono i nazionalisti, chi crede che saranno i propri governi a risolvere tutto. Il gruppo più numeroso è quello degli Strategic Sovereignists che si immaginano il mondo diviso in blocchi e sfere di influenza e credono che la nostra capacità di superare la crisi dipenderà molto dalla nostra abilità a coordinarci tra europei, di agire come un blocco unico.

  

A proposito di decisioni complicate, ansie e amori: in Lituania un gruppo di ragazzi ha pensato di inventare una app per imparare a gestire le emozioni, di ogni tipo, cattive e buone. L’applicazione si chiama Act In Crisis e l’idea è nata durante la pandemia. E’ venuta a una ragazza, Ieva Vaitkeviciute, che ha raccontato come la morte del ministro delle Finanze dell’Assia – alcuni media avevano riportato che Thomas Schäfer si è suicidato per l’ansia che stava vivendo nei giorni della pandemia – l’abbia spinta a considerare quanto sarebbero cambiate le emozioni di tutti dopo il coronavirus, dopo la quarantena, dopo la paura. Ha immaginato che l’equilibrio mentale sarebbe stato tra le prime cose da curare e così si è messa a lavoro su una app, che lei e il suo gruppo definiscono molto millennial perché sono i millennial i più attenti alle emozioni, che fosse anche molto rispettosa della privacy, più di una linea di assistenza. Funziona su tre livelli: esercizi di respirazione, conversazioni anonime di gruppo e consultazioni individuali con specialisti. E’ un po’ così che procedono le trattative europee, soprattutto queste sul Recovery fund: respirazioni intense, conversazioni di gruppo e chiacchierate individuali.

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