I giornali cinesi sono davvero dei giornali? Il caso del Global Times
Washington lo considera da oggi al pari di un’ambasciata
Roma. Altri quattro media cinesi saranno considerati al pari di ambasciate straniere dal governo americano. Già a febbraio il dipartimento di stato aveva deciso di rubricare cinque media cinesi come agenti d’influenza straniera: l’agenzia di stampa statale Xinhua, l’emittente China Global Television Network, China Radio International, il quotidiano in lingua inglese China Daily e l’Hai Tian Development Usa. Adesso nell’elenco entrano anche la China Central television, l’agenzia China news service, ma soprattutto il quotidiano del Partito comunista, il Giornale del popolo, e il suo tabloid in lingua inglese, il Global Times. Per Washington questi media non sono davvero servizi di informazione ma organi del governo di Pechino. Saranno quindi soggetti alle regole delle ambasciate, con una limitazione sul numero di dipendenti e la necessità di fornire molti più dettagli riguardo alle loro attività. E’ un passaggio notevole nella guerra di posizione tra America e Cina, che rischia di inasprire ancora di più i rapporti diplomatici tra Washington e Pechino. A febbraio, in risposta alla decisione del dipartimento di stato, la Cina aveva di fatto espulso quasi tutti i giornalisti dei bureau di New York Times, Wall Street Journal e Washington Post.
La pressione americana colpisce soprattutto uno dei giornali cinesi più famosi tra gli occidentali: il Global Times. Nato come tabloid, spesso poco attendibile anche per le questioni più interne alla Cina, negli ultimi anni il Global Times ha trasformato il suo ruolo, sempre più aggressivo soprattutto sul fronte della propaganda. Artefice di questa trasformazione è senza dubbio il direttore, Hu Xijin, considerato un battitore libero e molto esplicito soprattutto su Twitter, social media censurato in Cina. Il China Daily, con il suo allegato China Watch, si è sempre contraddistinto per una propaganda molto più istituzionale, tanto è vero che per anni i giornali in lingua inglese, dal Wall Street Journal al Washington Post, dal Mainichi Shimbun al Sydney Morning Herald fino al Telegraph, hanno beneficiato dei contributi che arrivavano dalla pubblicazione degli inserti a pagamento sugli “straordinari successi della Cina” di China Watch. Il Global Times di Hu Xijin, invece, ha preso un’altra strada. In un’intervista a Javier C. Hernández sul New York Times, l’anno scorso, Hu riconosceva il fatto che “la capacità della Cina di spiegarsi al resto del mondo è inadeguata”, e proprio per questo il Global Times ora è il più attento alla propaganda esterna. A differenza di altri media cinesi in lingua inglese, il Global Times in sostanza risponde, colpo su colpo, a ogni attacco arrivi dall’estero.
Hu Xijin, che è stato corrispondente di guerra in Jugoslavia per il Quotidiano del popolo e ha partecipato alle proteste di piazza Tiananmen nel 1989, è direttore del giornale sin dal 2005. Ma è solo negli ultimi anni, anche grazie all’uso dei social network (Hu si è espresso varie volte contro il Great Firewall, la censura online imposta dal Partito) che si è guadagnato una specie di autorevolezza internazionale, nonostante il formato tabloid. E con la pandemia il suo ruolo si è ulteriormente intensificato: editoriali e interviste (anche con intervistati italiani) volti a celebrare i successi del metodo cinese nel mondo. Un uso di Twitter sempre più assertivo: la pagina del giornale ha 1,8 milioni di follower, e spesso pubblica soltanto immagini, senza link, con notizie brevi ed evocative, come quella pubblicata il 22 marzo scorso che lasciava intendere che il virus potesse avere avuto origine in Italia. Ma il Global Times fa anche una comunicazione chiara sulla politica estera: tutto ciò che il nazionalismo cinese vuole far sapere all’estero lo fa tramite il tabloid in lingua inglese da 30 milioni di visitatori unici al mese.
Quando ieri il dipartimento di stato americano ha fatto sapere che anche il Global Times sarà d’ora in poi trattato come un’ambasciata, Hu Xijin ha scritto su Twitter: “Questa è una decisione assurda. Le relazioni Cina-Usa sono così tese che ora sono colpiti anche i media orientati al mercato come il Global Times. E’ deplorevole. Gli Stati Uniti stanno perdendo fiducia in se stessi e inclusività. Il paese è nel caos”.
Isteria migratoria