(foto LaPresse)

Secondo una ricerca in questa pandemia le fake news non arrivano dai soliti troll

Eugenio Cau

Uno studio dell’Università di Cardiff suggerisce che la cattiva informazione e la confusione a proposito del coronavirus sarebbe attribuibile alla comunicazione istituzionale e ai media mainstream

Milano. L’idea che le fake news possano provocare danni enormi nella pandemia da coronavirus terrorizza i governi da mesi, e a ragione. La diffusione incontrollata di notizie non verificate sui social media può essere grave durante un’elezione, ma quando si parla di una pandemia è letale, e sappiamo che internet (non solo, ma online il fenomeno è più visibile) è pieno di figure pronte ad approfittare della disperazione delle persone. Ma allora immaginate cosa avrà pensato un povero troll russo che cerca di fare onestamente il suo lavoro di disinformatia quando il presidente degli Stati Uniti ha detto in diretta tv a milioni di persone che iniettarsi disinfettante in vena avrebbe potuto essere una buona idea. Puoi avere fantasia, puoi inventarti cospirazioni e complotti raffinati, ma come la batti una fandonia così?

 

Sembra uno scherzo, eppure per una parte del pubblico la dinamica è stata questa: la cattiva informazione e la confusione a proposito del coronavirus non sono arrivate tanto dalle fake news standard, ma dalla comunicazione istituzionale e, in parte, dai media mainstream. Lo sostiene uno studio dell’Università di Cardiff, che è stato ripreso da NiemanLab e da The Conversation, in cui i ricercatori hanno indagato l’atteggiamento nei confronti delle notizie sul virus di 200 persone nel Regno Unito tra la metà di aprile e la fine di maggio. Il risultato è piuttosto interessante: i partecipanti, quando interrogati sulle fake news da coronavirus, le hanno riconosciute tutte facilmente: a stragrande maggioranza hanno confermato che il 5G non contribuisce al diffondersi della malattia e che fare i gargarismi con acqua salata non è un buon sistema di prevenzione. (La questione del 5G è più complessa, perché una minoranza che invece ci crede, alle bufale sulle antenne che diffondono il coronavirus, ha dato fuoco a decine di cassette del telefono provocando danni ingenti proprio nel Regno Unito, mentre in Italia sono centinaia i comuni che, pur senza fare correlazioni esplicite con il virus, hanno vietato la costruzione di infrastrutture 5G. La paranoia nei confronti del 5G, tuttavia, precede di molto lo scoppio della pandemia).

 

Insomma, i partecipanti alla ricerca sono piuttosto bravi a scovare le fake, ma al contrario non avevano chiari alcuni aspetti della pandemia che dovrebbero dipendere dalla comunicazione ufficiale. Non sapevano, per esempio, che il numero dei morti da Covid nel Regno Unito è il più alto di tutta Europa, o non avevano chiaro che ci sono differenze sostanziali nelle politiche di lockdown tra Inghilterra, Scozia e Galles. Non stupisce, allora, che quando i ricercatori hanno chiesto loro esempi di comunicazioni fuorvianti sul coronavirus, i partecipanti abbiano indicato dichiarazioni istituzionali confuse o smentite, e in alcuni casi anche servizi dei media tradizionali. Per alcuni la disinformazione riguarda “cose che il governo ha detto e che poi si sono rivelate false, come la mancanza di dispositivi di protezione, il numero dei test fatti, le morti nelle case di riposo”. “Disinformazione per me sarebbe leggere un articolo che dice che le scuole riaprono il 1° giugno e poi scoprire che è soltanto un rientro scaglionato che riguarda soltanto poche fasce d’età. Questo manderebbe nel panico molti genitori”, ha detto un altro partecipante.

 

Sappiamo che la strategia comunicativa di Boris Johnson, prima fautore dell’immunità di gregge e della responsabilità personale e poi sostenitore del lockdown, è stata disastrosa, e i messaggi contraddittori si sono accumulati uno sull’altro. Non è un caso che, secondo una ricerca del Reuters Institute, la fiducia dei britannici nel loro governo sia crollata dal 67 per cento di aprile al 48 per cento di fine maggio, mentre quella nei media che seguivano le piroette di Downing Street dal 57 per cento al 46. Una comunicazione pubblica efficiente in una pandemia è essenziale quasi quanto i test, e il fallimento del governo britannico non è certo isolato: dai mille ripensamenti dell’Oms (sulle mascherine, sulla contagiosità degli asintomatici) alla scarsa efficacia di molti governi europei (per non parlare di Trump), sono stati pochi in occidente i leader capaci di parlare ai loro cittadini – e tutte donne.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.