Munira Mirza

La soldatessa di BoJo

Paola Peduzzi

Il premier inglese mette a capo della commissione antirazzismo Munira Mirza e accende la miccia nel Labour

Milano. Quando a gennaio Grazia Uk chiese al neopremier britannico, Boris Johnson, quali fossero le cinque donne che più avevano influenzato le sue idee, lui citò Munira Mirza (le altre erano: Budicca, Malala, Kate Bush, sua nonna). Da ieri la Mirza è sulla bocca di tutti, amata e odiata in egual misura, simbolo della battaglia culturale che è in corso nel Regno Unito e anche di tutte le altre, a cominciare dalla Brexit.

 

La Mirza è stata nominata da Johnson a capo della commissione che deve investigare le disparità sociali e razziali nella società inglese – la commissione istituita dal governo in seguito alle proteste contro il razzismo – e molti hanno criticato la scelta per una serie di ragioni, di cui la prima è il disprezzo della Mirza per questo genere di inchieste sociali che, ha detto in passato, alimentano “la cultura della lamentela”, senza risolvere mai nulla.

 

In particolare ha ricominciato a circolare un articolo che la Mirza scrisse sullo Spectator nel 2017 in cui criticava l’inchiesta sulle disparità razziali appena lanciata dall’allora premier Theresa May: “Aspettiamoci mesi di autoflagellazione politica”, diceva, ma ricordiamoci che il governo va a caccia di un alibi per tutte le diseguaglianze, “l’antirazzismo è strumentalizzato” da tutti i partiti e finisce per dividere, mai per unire. In sintesi, secondo i suoi accusatori, la Mirza è una negazionista di quello che gli inglesi chiamano “il razzismo istituzionale” che, sostiene lei – lo ha scritto sul sito cosiddetto contrarian Spiked – è “un mito” ed “è più percepito che reale”. Le proteste del Labour e di chi sostiene la campagna Black Lives Matter sono state immediate e furiose, perché la Mirza non soltanto deve scegliere i membri della commissione (ha fatto già nomi controversi) ma è considerata anche la consigliera del premier più influente quando si tratta di guerre culturali: Johnson dice che lei è una che capisce al volo tendenze e mode, ha un’ironia unica e soprattutto è un “potente nonsense detector”.

 

Musulmana, di origini pachistane, classe 1978, la Mirza nasce come membro del Revolutionary Communist Party e finisce, dopo un viaggio lungo tutto lo spettro politico, al think tank Policy Exchange, quello della classe dirigente dei Tory degli anni Duemila. In un dibattito del 2018 dal titolo “Chi sta vincendo le guerre culturali?”, Mirza disse che aveva abbandonato la sinistra perché non aveva “rispetto per la libertà d’espressione”: a Policy Exchange, il suo paper più famoso è stato “Il paradosso del multiculturalismo”. Il passo da lì all’allora sindaco di Londra Boris Johnson fu breve e il sodalizio non si è mai interrotto: oggi la Mirza è a capo della policy unit di Downing Street, la fabbrica delle idee del governo. Nel 2012 ha pubblicato un libro, “The Politics of Culture: The Case for Universalism”, in cui sosteneva che l’approccio culturale elitario che ha sempre dominato la politica inglese avesse creato molte divisioni e che fosse necessaria una rivoluzione ideologica che è incarnata anche da Dominic Cummings, il superguru di Johnson, che a marzo ha assunto il marito della Mirza nel programma “disadattati di talento” (il marito, Dougie Smith, in realtà è famoso perché organizzava anni fa per il Partito conservatore le feste più libertine che avesse mai avuto).

 

La Mirza è il soldato migliore che Johnson potesse schierare in questo scontro cultural-politico, tra statue buttate in mare o impacchettate e attivisti antirazzisti che si portano in spalla l’estremista di destra che rischia di essere aggredito dalla polizia. Il Labour ha già detto che la sua nomina è la dimostrazione del fatto che il governo non vuole fare nulla per le diseguaglianze perché ne nega l’esistenza stessa – tutto secondo il copione della polarizzazione. Con un’unica differenza, potenzialmente enorme: come ha sottolineato Heather Stewart sul Guardian, la trappola della guerra culturale sembra disegnata per il Labour che fu, quello di Jeremy Corbyn: Keir Starmer, il nuovo leader, sembra cascarci molto meno.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi