Una manifestazione per chiedere il boicottaggio dei prodotti israeliani (foto Flickr)

Adesso discriminare Israele non è discriminazione

Secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo chiedere di boicottare dei prodotti solo perché israeliani è libertà d'espressione

Boicottare Israele parlando di apartheid, nazismo ed evitando di acquistare qualsiasi prodotto abbia la dicitura “made in Israel” è libertà di espressione. E come tale va tutelata. Poco importa se tutto ciò si fonda sulla volontà di negare l'esistenza stessa di uno stato e di un popolo, per la Corte europea dei diritti dell'uomo non si tratta di discriminazione.

 

I fatti. Nel 2009 e nel 2010, undici attivisti del movimento Bds, parteciparono in Francia a una campagna all'interno dei supermercati per chiedere il boicottaggio di prodotti israeliani (video sotto). Portati a giudizio gli attivisti vennero condannati a pagare un risarcimento a chi si era costituito come parte civile (la Lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo, gli Avvocati senza, l'Alleanza Francia-Israele e il Bureau national de vigilance contre l’antisémitisme). La condanna, confermata nel 2015 dalla Cassazione, trovava la sua base giuridica in una legge del 1881 sulla libertà di stampa che prevede che chiunque si è reso protagonista “di incitamento alla discriminazione, all'odio o alla violenza contro una persona o un gruppo di persone a causa della loro origine o della loro (non) appartenenza a un determinato gruppo etnico, a una nazione, a una razza o una religione” può essere punito con un anno di reclusione o una multa”.

  

 

Gli attivisti hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo che l'11 giugno ha emesso la propria sentenza. Due le questioni sollevate dai ricorrenti: la prima riguardava il fatto che la legge non fa alcuna menzione di boicottaggi di natura economica tra le fattispecie di discriminazione, la seconda che la condanna era legata alla loro partecipazione a una campagna di boicottaggio internazionale e quindi poteva configurarsi come una violazione della libertà d'espressione. Secondo gli attivisti quindi, la loro condanna violava gli articoli 7 (Nulla poena sine lege) e 10 (Libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

 

La Corte ha deciso di accogliere il secondo punto sollevato dal ricorso sottolineando che, come ricordato in altre occasioni, pur ammettendo la Convenzione un restringimento della libertà di espressione, questa è difficilmente applicabile all'ambito “del discorso politico o a questioni di interesse pubblico”. Per la Corte la condanna non era basata su motivi pertinenti e sufficienti. Non solo, la condanna non era legata nemmeno a danni provocati durante gli “assalti” ai supermercati. Insomma, poco importa che il boicottaggio delle merci israeliane, ricordi molto tempi passati quando bastava essere etichettati come ebrei per rischiare la propria vita. Secondo la Corte la condanna vìola la libertà di espressione e, quindi, l'articolo 10 della Convenzione. Dopotutto di cosa stupirsi, se il mondo applaude a chi abbatte le statue dei colonialisti bianchi perché non dovrebbe difendere chi si batte contro il “colionalismo di Israele”.  

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