(foto LaPresse)

La terza via che vorrebbe Borrell per i rapporti Ue-Cina è un bell'azzardo

Giulia Pompili

L’Unione europea sta cercando di costruirsi un ruolo di mediazione, una realtà alternativa per quei paesi che non vogliono essere costretti a scegliere tra l’America e Pechino

Roma. E’ durata tre ore la riunione video di ieri tra Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, e Wang Yi, ministro degli Esteri cinese. E’ stata la prima volta per Borrell, perché l’ultimo round del Dialogo strategico dell’Unione europea con la Cina si era svolto poco più di un anno fa, quando agli Esteri di Bruxelles c’era ancora Federica Mogherini. Gli osservatori internazionali aspettavano quindi la conferenza stampa di fine summit per capire se ci saranno cambiamenti nella posizione europea nei confronti di Pechino. Lo scorso anno la Cina era descritta come un “rivale sistemico”, con il quale lavorare sulla base di un “ordine globale basato sulle regole” e sul “rispetto dei diritti umani”. Alcune cose sono cambiate da allora. Borrell ha detto che la discussione con Wang è stata “aperta e sincera”, si è parlato del vertice Ue-Cina che avrebbe dovuto tenersi in primavera ma è slittato a causa della pandemia, dell’accesso europeo al mercato cinese, di reciprocità. Ma sui temi cruciali Borrell ha praticamente ammesso la capitolazione: i cinesi hanno voluto una definizione chiara di “rivale sistemico”, e Borrell ha risposto che bisogna avere un “rapporto realistico per difendere i nostri interessi e i nostri valori”. Quindi ha spiegato che non c’è stata alcuna discussione su eventuali azioni europee sulle responsabilità cinesi nella pandemia, e tanto meno ci saranno sulla questione di Hong Kong – anche se il tema dell’autonomia dell’ex colonia inglese “è stato sollevato”.

  

“Europa e Cina non sono rivali, dobbiamo solo rispettare i nostri sistemi diversi”, ha detto Wang. Che è il principio cardine della diplomazia cinese: fatevi i fatti vostri. E in effetti, quella di Borrell sembra essere una terza via: l’Unione europea sta cercando di costruirsi un ruolo di mediazione, una realtà alternativa per quei paesi che non vogliono essere costretti a scegliere tra l’America e la Cina. Teoricamente potrebbe funzionare, ma in assenza di una politica estera solida all’interno dell’Unione questa strategia rischia di capitolare di fronte alle richieste di Pechino, sempre più assertive, e soprattutto di fronte alla capacità cinese di costruire parallelamente rapporti bilaterali molto forti con i paesi membri, e di sfruttarne le debolezze. Ogni paese ha i suoi interessi particolari, e nessuno vuole portare la bandiera anticinese perché le conseguenze, a livello economico, possono essere pesanti (basti guardare all’Australia).

 

Un anno fa il presidente francese Emmanuel Macron, durante la visita del presidente Xi Jinping in Francia, organizzò un summit improvvisato anche con la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’ex presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. La leadership dei rapporti dell’Europa con la Cina era formata. Con la pandemia (e l’arrivo dei cosiddetti “wolf warriors”, la diplomazia cinese sempre più aggressiva) i rapporti tra Parigi e Pechino sono un po’ deteriorati, ma non cambia granché. Ieri la stampa cinese, più che al vertice europeo, dava molto spazio alle dichiarazioni del ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, che vuole un “dialogo aperto” con la Cina. La scorsa settimana il presidente Xi Jinping ha parlato al telefono sia con Macron sia con Merkel, e il giornale di propaganda in lingua inglese Global Times sottolineava come in Europa, dopo la pandemia, qualche paese abbia “cambiato idea sulla Cina” mettendo i bastoni tra le ruote a Parigi e Berlino. Tutta colpa, naturalmente, dell’influenza americana e della “crisi esistenziale” che sta vivendo l’Unione.

 

E l’Italia? Dopo la firma sulla Via della Seta e un governo formato anche da un partito dichiaratamente dalla parte di Pechino – su tutti i fronti, non solo quelli economici – il nostro paese continua a essere pressoché irrilevante per Pechino dal punto di vista diplomatico. Xi ha parlato al telefono con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte solo una volta, nel marzo scorso. Di solito, da noi, preferisce parlare con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: non un politico, ma una figura istituzionale di garanzia.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.