Il candidato repubblicano Mike Garcia vincitore delle elezioni speciali che si sono tenute martedì (foto LaPresse)

Si può perdere la California

Luciana Grosso

Una sconfitta piccola del Partito democratico nello stato liberal fa prendere un grande spavento. Ecco perché 

Avete mai sentito parlare del distretto 25 della California? Probabilmente no. Perché avreste dovuto? Si tratta di un piccolo collegio elettorale a nord di Los Angeles, noto per poco altro che non sia che qui c’è la città di Santa Clarita, città di medie dimensioni (200 mila persone) luogo di residenza fittizia della cannibale Drew Barrymore nella serie “Santa Clarita Diet”. 

Per il resto, niente da segnalare.

E allora perché in queste ore di campagna elettorale in clausura, di lockdown e pandemia, i pensieri del partito democratico americano sono tutti per questo distretto alla periferia di Los Angeles? La risposta breve è: perché qui, alle elezioni speciali che si sono tenute martedì, la candidata democratica Christy Smith ha perso, e il candidato repubblicano Mike Garcia ha vinto (con un ampio margine: 56 a 44).


(Fonte: NYTimes)

 

La risposta più lunga è che, questa sconfitta, a sei mesi dalle elezioni presidenziali, per quanto irrilevante (non sposta in nessun modo gli equilibri della Camera dei rappresentanti, che resta ampiamente in mano democratica e, per giunta, il vincitore Garcia, resterà in carica pochi mesi, solo fino al prossimo gennaio) lancia un segnale poco gradito alla compagine di Biden.

Il segnale è: si può perdere. Anche in California. Anche se dall’altra parte c’è lo spauracchio di Trump.

 

A novembre, in California, si voterà non solo per il presidente (e su questo fronte, almeno in California, Biden può dormire tra due guanciali) ma anche per il rinnovo completo della Camera dei rappresentanti. Per i democratici, comunque vadano le presidenziali, è vitale mantenere il controllo della Camera: serve sia per facilitare il lavoro dell’eventuale presidente Biden, sia per complicare quello dell’eventuale presidente Trump.

La California, da sola, esprime 53 deputati. Di questi, solo 7 (8 da martedì), sono repubblicani, tutti eletti nell’entroterra rurale. 

 


(fonte: NYTimes)

  

Non sarebbe un gran male per i democratici, se solo quei seggi fossero contendibili. Il problema però è che non lo sono. Uno di questi, l’8th, è stato per anni il regno di Nancy Pelosi, ma poi la speaker si è spostata altrove e dal 2012, lì, non c’è partita che per il repubblicano Paul Cook.  Lo stesso vale per il distretto numero 1, a nord, dove dal 2012 vince solo il repubblicano Doug LaMalfa. Nel distretto 4, tra Sacramento e San Francisco, addirittura, non vince un democratico dal 1990.

 

Ci sono solo tre seggi, tra le diversamente inespugnabili roccaforti californiane, che sembrano swing. E uno di questi è il distretto 25th: un posto dove, alle presidenziali, nel 2004 ha vinto Bush, nel 2008 Obama, nel 2012 Romney, e nel 2016 Clinton. Un posto in cui al Senato hanno vinto la repubblicana Carly Fiorina nel 2010, la pop star democratica Kamala Harris nel 2016. Un posto in cui, per trent’anni (tra gli anni 70 e 90) si è votato per un deputato democratico (sempre lo stesso, Edward Ross Roybal) e poi, per altri vent’anni, sempre per un candidato repubblicano. Almeno fino al 2018, quando a vincere, era stata la candidata Dem Katie Hill: giovane, carismatica ma non troppo, nota per le sue attività di volontariato al fianco dei senza tetto. Sembrava fatta. Sembrava che, finalmente, i democratici fossero riusciti a conquistare uno dei seggi californiani che con più protervia sfuggiva loro. E invece no. Perché la giovane promessa, in meno di un anno, ha sbagliato tutto e combinato un casino. Una specie di sex gate in miniatura, fatto più di maldestria che di lussuria. La neo deputata è finita in un polverone per aver avuto, mentre era ancora sposata, “rapporti inappropriati” con una ragazza di 24 anni che lavorava nel suo staff. Poi, non si sa come (anche se l’indiziato numero uno è il marito, nel frattempo diventato ex) alcune sue foto sono arrivate ai tabloid inglesi. Le foto erano – poveretta lei – un disastro fatto di nudità, camere d’albergo di infimo ordine, ménage à trois e persino tatuaggi nazi ben nascosti. La carriera della neodeputata Hill è, ovviamente, finita lì. Così come il controllo democratico su quel tanto agognato seggio californiano. Che non conta niente ma conta tantissimo. Perché sta lì, con la sua irrilevanza strafottente, a ricordare ai democratici che sì, si può perdere. Anche in California. Basta volerlo.