Tiffany Pinckney posa per un ritratto nel quartiere Harlem di New York il 1 ° aprile 2020. Dopo un periodo di quarantena a casa separata dai suoi figli, si è ripresa da Covid-19 (LaPresse)

Lettera da New York

Simona Siri

La mappa dei contagi in città segue le linee della ricchezza e della povertà. Quell’applauso crudele, tutte le sere

New York. E’ un vecchio trucco immobiliare. Quando cerchi casa a Manhattan, per farti capire quanto i prezzi degli affitti cambiano da una zona all’altra, quello che di solito l’agente fa è tracciare una linea diagonale che parte dall’estremità a sud-ovest dell’isola e arriva fino all’angolo opposto, a nord-est. I prezzi delle case di New York si distribuiscono su questa diagonale, dice a questo punto di solito l’agente: lei che budget ha? Dove si posiziona? La divisione di New York in aree socioeconomiche è una realtà che neanche il coronavirus riesce a scardinare, ma anzi rafforza l’idea di una città divisa in classi. La mappa del contagio resa nota dal New York Health Department ricalca quella della ricchezza, con quartieri come il West Village quasi del tutto risparmiati dal virus e con Harlem e Queens tra le zone più colpite. L’idea che il virus sia una livella e renda tutti uguali è una favola, disgiunta dai dati reali che parlano di un virus che si distribuisce a seconda del codice postale.

  

Lo stato di New York è al momento l’epicentro di tutti gli Stati Uniti, con il bilancio delle vittime salito a 2.219 e con più della metà dei decessi (1.374) a New York City. Sempre secondo il New York Health Department la mappa rivela una maggiore concentrazione di casi in alcune zone di Brooklyn e nel Queens, in particolare a Elmhurst dove ieri è morta un’infermiera, Priscilla Carrow: ha contratto il virus lavorando nell’ospedale locale. Quartieri con elevata povertà come Mott Haven nel Bronx e East New York a Brooklyn hanno ben 947 casi rispetto ai 200 casi di Park Slope e Greenwich Village dove abitano i molto ricchi, molti dei quali hanno lasciato Manhattan per trasferirsi nelle seconde case, chi agli Hamptons, chi a Martha’s Vineyard. Lo statistico Michael Donnelly in un’intervista al New York Post ha spiegato che questi dati “evidenziano la diseguaglianza intrinseca di New York. Si prenda l’esempio di Rockaway, nel Queens”.

  

Qui 436 persone sono risultate positive tra la comunità che vive in case popolari a Far Rockaway, “mentre nella parte più lontana dell’isola, nelle case da un milione di dollari di Belle Harbor – dice Donnelly – i casi sono stati solo 143”. A Staten Island, zone abitate dalla classe media come Heartland Village e Annadale sono le più colpite, probabilmente a causa della alta concentrazione di primi soccorritori.

 

Altri dati invece più che con lo status socio-economico si possono spiegare con la religione: è il caso della alta concentrazione di casi a Williamsburg, a Brooklyn: pur essendo un quartiere di medio-alta borghesia viaggia sui 900 casi a causa dell’alta concentrazione di ebrei ortodossi che fino a pochi giorni fa ancora celebravano matrimoni e funerali affollati senza rispettare le distanze di sicurezza.

 

Da quando il governatore Andrew Cuomo ha messo lo stato “in pausa”, come dice lui, per evitare una parola che non gli piace, lockdown, questa disparità di stili di vita si è fatta ancora più evidente: secondo le indicazioni del governatore, a New York possono muoversi e recarsi al lavoro solo i cosiddetti “essential workers” ovvero solo coloro che svolgono lavori assolutamente necessari: infermieri e medici, ma anche cuochi, operai, autisti, portinai, ragazzi che fanno le consegne, insomma tutta quella manovalanza che difficilmente risiede a Manhattan e che è costretta a viaggiare e a prendere i mezzi per andare a lavorare, esponendosi quindi più facilmente al contagio. Non più di una settimana fa è diventato virale un video che mostrava una banchina della metropolitana stracolma di gente che aspettava il treno all’ora di punta. Quelle immagini erano di Harlem e quelle persone stavano andando a fare lavori che, al contrario di quelli di chi abita a Park Slope o nel Greenwich Village, non può fare da casa. Avendo gli Stati Uniti l’assistenza sanitaria privata, finisce anche che i newyorchesi più colpiti sono anche quelli privi di adeguata assicurazione e magari con stili di vita meno sani – per esempio fumare – tutte cose che li rendono molto più sensibili al Covid-19. Ogni sera, alle sette, New York si affaccia alle finestre per ringraziare, con un applauso, coloro che facendo lavori essenziali di fatto mantengono ancora in piedi la città: chi lavora nei negozi di alimentari, chi nelle farmacie, chi porta a spasso i cani, le babysitter, i portinai, gli infermieri, gli autisti di ambulanze, taxi, bus, metropolitane. E’ un momento commovente, certo, ma anche a suo modo crudele, un quotidiano rimando che neanche davanti al virus siamo tutti uguali.

Di più su questi argomenti: