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La portavoce chiacchierona mette nei guai Macron nel mezzo della crisi da virus

Mauro Zanon

Sibeth Ndiaye, le critiche all’Italia e le proteste degli insegnanti

Parigi. Nessuno osa dirlo direttamente al presidente, Emmanuel Macron, perché è una sua fedelissima, un’intoccabile, l’ultimo petit soldat del commando che ha costruito la cavalcata trionfale del candidato di En Marche. Ma lontano dall’Eliseo, nei ministeri e nei palazzi locali della macronia, sono in molti a considerare la portavoce del governo francese, Sibeth Ndiaye, terribilmente unfit, inadatta a ricoprire un ruolo così cruciale, che richiede lucidità e polso fermo. Tutta la sua fragilità, come raccontato ieri da Libération, è emersa in maniera plateale in queste settimane complesse e cariche di tensione per via dell’emergenza coronavirus. In un momento in cui la comunicazione della République avrebbe dovuto essere più precisa e rassicurante che mai, la portavoce dell’esecutivo ha collezionato passi falsi, scivoloni e “approssimazioni imbarazzanti”, come le definisce Libé, che hanno aggiunto confusione e incertezza a una situazione già caotica e brumosa.

 

L’ultima maladresse risale a due giorni fa, quando per giustificare l’appello del ministro per le Politiche agricole Didier Guillaume, che ha invitato i francesi a unirsi al “grande esercito dell’agricoltura francese” per aiutare contadini e allevatori, ha detto che il governo non intende con queste parole “chiedere a un insegnante che oggi non lavora di attraversare la Francia per andare a raccogliere le fragole”, dimenticando completamente che maestri e professori lavorano a distanza con i propri studenti, garantendo la continuità didattica dietro lo schermo del computer. “Dire che i nostri insegnanti non lavorano perché le scuole sono chiuse significa essere alla frutta”, ha attaccato Olivier Faure, segretario del Partito socialista, denunciando l’irresponsabilità della portavoce. Il ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, ha provato a mettere una pezza alla dichiarazione improvvida della Ndiaye, ringraziando “tutti i docenti francesi che svolgono un lavoro straordinario, senza tener conto del loro tempo e della loro energia, per seguire i nostri allievi in queste circostanze eccezionali”. Fosse stata solo questa la gaffe, sarebbe anche perdonabile. Il problema è che nei giorni scorsi non c’è stato un discorso che sia uno senza una frase azzardata. Il primo e il più rumoroso degli scivoloni è andato in scena l’11 marzo, quando lasciò intendere che le misure drastiche prese dall’Italia erano inutili, che la chiusura degli istituti scolastici e il confinamento totale non funzionavano per contenere la propagazione del Covid-19, che Roma esagerava, insomma, e Parigi non avrebbe mai seguito quella strada. Passano tre giorni e Macron annuncia in diretta tv la chiusura delle scuole, ne passano sei e la Francia è in lockdown: proprio come l’Italia.

  

L’altro passo falso che ha fatto arrabbiare i francesi è stato commesso mercoledì, prima della visita di Macron all’ospedale da campo di Mulhouse, quando, interrogata su alcune immagini che mostravano il capo dello stato senza mascherina nonostante le raccomandazioni del mondo medico-scientifico, ha spiegato che il presidente non la indossa “semplicemente perché non ne ha bisogno, dato che rispetta la distanza di protezione dagli altri”. “Quando non si è malati o medici, non è utile: non c’è ragione per cui il presidente della Repubblica deroghi alle prescrizioni che vengono fatte all’insieme della popolazione”, ha insistito la portavoce. Peccato però che poche ore dopo l’inquilino dell’Eliseo sia arrivato a Mulhouse protetto dalla Ffp2. Sempre sulle mascherine, questione divenuta incandescente da quando il governo ha fatto requisire tutte le scorte e le produzioni, la Ndiaye ha detto apertamente su Bfm.tv di non essere in grado di utilizzarle, “sono gesti tecnici”, e comunque “non sono necessarie per tutti”. Lo dica ai molti lavoratori in prima linea che ne sono privi, medici, infermieri, addetti alle consegne, netturbini. Alcuni di loro hanno iniziato a invocare il “droit de retrait”, il diritto di non lavorare in caso di rischi gravi per la salute.