Un uomo con mascherina al Muro del pianto (foto LaPresse)

Laboratorio Israele

Giulio Meotti

Quarantena e innovazione. Lo stato ebraico è all’avanguardia. Si preparava da anni all’epidemia

Roma. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha definito il coronavirus “la peggior epidemia in cento anni”, ha annunciato che la quarantena obbligatoria (quattordici giorni) riservata finora a turisti e cittadini che arrivino da determinati paesi europei e asiatici sarà estesa “a tutto il mondo”. 

 

Nonostante i casi di coronavirus in Israele siano appena 58 a oggi, 80 mila israeliani sono già in autoquarantena. Israele ha nove milioni di abitanti. L’Italia, che ne ha sessanta, ha visto finora appena duemila autoisolamenti. La popolazione israeliana era pronta a “stare a casa”. “Il mondo non finirà, se non possiamo batterlo conviveremo con il coronavirus”, ha detto Eyal Waldman, il ceo dell’azienda di chip Mellanox, anche lui in quarantena. Del modello israeliano fa parte anche questo ottimismo.

 

Boaz Lev, che dirige l’unità delle epidemie del ministero della Sanità, ha detto che la quarantena dipende dal fatto che gli israeliani “agiscono come cittadini modello”. Eyal Zimlichman, il medico che sovrintende all’isolamento allo Sheba Medical Center, il nono miglior ospedale del mondo, ha detto che Israele “è come un laboratorio vivente” nella risposta all’epidemia. I pazienti di cui si sospetta il contagio portano i dispositivi della start up israeliana TytoCare, permettendo ai medici di ascoltarne da remoto cuore e polmoni. Sotto i materassi, un sistema di sensori della società israeliana EarlySense ne monitora la respirazione.

 

Prima che qualcuno sapesse che il coronavirus avrebbe raggiunto il medio oriente, i medici israeliani erano già in azione. I tessuti sviluppati dalla Sonovia, in teoria per pazienti chemioterapici, sono stati trasformati in maschere che potrebbero uccidere, non solo bloccare, il coronavirus. I laboratori in Cina stanno testando questo tessuto, inventato da due professori di chimica dell’Università Bar-Ilan e che infonde meccanicamente nanoparticelle antivirali e antimicrobiche di zinco e ossido di rame nei tessuti per mascherine e altri prodotti protettivi. Anche Horizon 2020 della Commissione europea gli ha assegnato un finanziamento. E il Migal Galilee Research Institute ha rapidamente iniziato a lavorare a un vaccino contro il coronavirus. Indipendentemente dal fatto che il vaccino della Migal alla fine abbia successo o meno, lo sforzo è emblematico dell’atteggiamento di Israele nei confronti delle crisi. Non solo. Lo stato ebraico sta usando gli adesivi wireless della BioBeat per monitorare la pressione sanguigna. Zimlichman ha spiegato che “il 30 per cento degli operatori sanitari di Wuhan ha contratto la malattia dal contatto coi pazienti”. E anche in Italia molti medici e operatori sanitari si ammalano. Così, gli ospedali nel sud-est asiatico, tra cui Cina, Giappone, Corea e Hong Kong, utilizzano un’altra invenzione israeliana, il robot Temi, per ridurre al minimo il contatto con i pazienti. E’ una delle cento migliori invenzioni del 2019, secondo Time.

 

Israele si sta preparando per questo tipo di evento da vent’anni”, ha detto il professor Nadav Davidovitch, direttore della School of Public Health dell’Università Ben-Gurion nel Negev. “Israele potrebbe essere l’unico paese occidentale che non ha avuto infezioni non giustificate”, afferma Tomer Hertz del Dipartimento di microbiologia, immunologia e genetica della Shraga Segun University. Israele ha già il terzo tasso di test da coronavirus più alto a livello globale (383 test per milione), dietro alla Corea e all’Italia. E sono alla ricerca di test più economici e rapidi. Come quello della Batm, che rileva il virus dai campioni di saliva in mezz’ora. Joe van Zwaren, presidente di JLM-BioCity – un gruppo di professionisti biomedici – ha compilato un elenco di venti società israeliane che stanno aiutando a fermare la pandemia.

 

In Israele ci sono nove centri medici in grado di raddoppiare i posti letto convertendo i sotterranei. Iniziarono a pensarci quando la Galilea finì sotto i razzi katiuscia di Hezbollah. L’ospedale sotterraneo più avanzato del mondo con duemila posti letto sorge a diciassette metri sotto terra al Rambam di Haifa, che nel 2006 fu sotto attacco per un mese. Al tempo, i pazienti finirono in scantinati e corridoi. Si decise che avrebbe dovuto funzionare anche in tempo di guerra. Ed è guerra anche questa combattuta con microscopi e medicine. Israele, democrazia-guarnigione di soldati e premi Nobel, ha sempre fatto di necessità virtù.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.