Una quarantena morale per le feste in maschera

Micol Flammini

La realtà si è già capovolta, non ci serve il vostro Carnevale triste, sudato e antisemita

Ad Aalst, città belga poco conosciuta se non per il Carnevale, nel 2019 la sfilata in maschera si era riempita di figure enormi con nasi grandi, lineamenti grotteschi e payot, i riccioli tipici degli ebrei ortodossi. Le figure avevano topi sulle spalle e denaro ovunque, nelle tasche, sotto i cappelli di pelliccia, in bocca, che stringevano nelle mani. La manifestazione antisemita è stata troppo persino per l’Unesco, che ha deciso di rimuovere il Carnevale di Aalst dalla lista dei patrimoni culturali per l’umanità. Un anno dopo, tra la gente che si accalcava, le birre in mano e i coriandoli per le strade, hanno sfilato gli stessi carri, le stesse figure enormi, gli stessi nasi, lo stesso ghigno sulla bocca mentre avvinghiano le banconote. Tutto intorno, persone mascherate con cappelli di pelliccia e payot, metà uomini e metà insetti: dalla vita in giù indossavano costumi da formiche o parassiti. La decisione dell’Unesco dello scorso anno non ha suscitato abbastanza imbarazzo e gli organizzatori del Carnevale delle Fiandre non hanno impedito le manifestazioni antisemite, già nel 2013 c’era chi andava in giro con l’uniforme della Gestapo e con lattine con la scritta Zyklon B. In Spagna, a Campo de Criptana, dopo che il Carnevale di Aalst era stato condannato la settimana prima – purtroppo soltanto a parole e dopo le rimostranze della comunità ebraica e di Israele – la sfilata di lunedì scorso è incominciata con una parata di uniformi naziste, con al seguito un corteo di ragazzi vestiti da prigionieri dei campi di concentramento e accompagnati da un carro raffigurante due forni crematori. Ragazze vestite da SS, truccatissime e scollatissime, trascinavano i prigionieri e l’associazione culturale che aveva organizzato la sfilata si è giustificata dicendo che l’intenzione era quella di commemorare gli ebrei morti durante l’Olocausto.

 

Per fortuna il Carnevale è finito e delle mascherate imbarazzanti e vergognose dovremo preoccuparci tra un anno. Abbiamo un anno per riflettere e per capire cosa fare di questa festa, che porta con sé, da sempre, le deformità, le bassezze, le storture dell’umanità. Che dice sempre il non detto, racconta l’esagerato, esprime l’impensabile. O lo ami o lo odi il Carnevale, o la ami o la odi la gente, sempre troppa, o la ami o la odi quella voglia di tirare il disumano fuori dall’umano. La festa mascherata è nata come l’occasione per abusare della libertà di parola e di espressione, era il periodo in cui era consentito ridere dei potenti, imitarli in pubblico, confondere le forme, ridere, bere, mangiare, in modo esagerato. Il Carnevale era la festa della smorfia, della realtà che si ribalta, del mondo sottosopra, per un giorno. Oggi che la quotidianità appare già a testa in giù e l’indicibile viene ormai detto tutti i giorni e in tutti i luoghi, la festa mascherata ne è già diventata lo specchio. Il Carnevale, da sempre, spinge la realtà oltre i suoi confini, ma i carri antisemiti di Aalst e di Campo de Criptana dimostrano che la festa non sa più esagerare e provocare nei limiti: è diventata abuso della libertà di espressione. Forse bisognerebbe fermarsi, ripensare la festa dove non è vero che tutto è permesso, dove non è vero che vale tutto. Valgono gli scherzi, ma l’antisemitismo non è uno scherzo.

 

Mettere in quarantena il Carnevale per un po' è un’occasione per ragionare. Altrimenti non rimarrà che guardare alla festa mascherata e sempre sudata con l’orrore della cancelliera tedesca Angela Merkel, che da quindici anni è costretta ad assistere alle sfilate, a guardare i carri, a battere le mani, e lo fa con aria tristissima. Non è mai riuscita a nascondere le espressioni di sdegno. Detesta il Carnevale. Impossibile non capirla.

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