Un'immagine di Jean Daniel in un video del Nouvel Observateur del 2012

I fatti “con eleganza” e gli “stilisti dell'informazione”. Il metodo di Jean Daniel

Mauro Zanon

È morto ieri il fondatore del Nouvel Observateur

Parigi. Jean Daniel è stato “un monumento del giornalismo, una guida della gauche”, ha scritto ieri il presidente francese Emmanuel Macron per commemorare il fondatore del Nouvel Observateur, morto all’età di 99 anni nel suo appartamento parigino, dopo una vita attraversata tutta d’un fiato accanto i grandi del Novecento, Kennedy, Fidel Castro, Ben Bella, De Gaulle, Mendès France, Mitterrand, una vita consacrata alla scrittura, all’engagement, alla sinistra, che non ha mai abbandonato. “Malgré elle et malgré moi”, disse al Monde nel 1995, “morirò a sinistra”, sulla scia di quanto affermava il suo eroe, il suo mentore, la sua bussola intellettuale, Albert Camus, con il quale ebbe un legame di amicizia quasi fraterno.

 

Ultimo di undici figli, Jean Daniel Bensaïd nacque in una famiglia algerina di confessione ebraica, il 21 luglio 1920, a Blida, “il piccolo fiore del Sahel”, a cinquanta chilometri da Algeri. “Non sono nato come Camus sulle rive del Mediterraneo, ma ai piedi della montagna. Il mare era una promessa a quindici chilometri da casa mia”, raccontò nella sua biografia, “Le Temps qui reste”, uscita nel 1973. A scuola, scopre i grandi della letteratura francese, e soprattutto André Gide e il suo “Ritorno dall’Urss”: fu il primo choc per il giovane Jean, la fine delle sue illusioni comuniste, la presa di coscienza che la Russia staliniana non era la patria d’elezione tanto sognata. Durante la Seconda guerra mondiale, sensibile agli appelli del generale Charles de Gaulle, entra nella 2ª Divisione corazzata del generale Leclerc, e partecipa alla Liberazione. Nel 1946 si iscrive alla facoltà di filosofia, alla Sorbona, e un anno dopo fonda la sua prima rivista, Caliban, con la benedizione di Camus. Pubblica il primo romanzo a trentadue anni, “L’Erreur”, inizia a scrivere per l’Express, la rivista dove scrivevano Jean-Paul Sartre e André Malraux, sostiene la politica di decolonizzazione di Mendès France. Sostenitore dell’indipendenza dell’Algeria, fatto che gli creò molti problemi a Parigi, si trovava a Cuba per intervistare Fidel Castro il giorno in cui John Fitzgerald Kennedy fu assassinato.

 

La luce malinconica nel suo sguardo veniva dall’incapacità di rispondere alla domanda che lo ha ossessionato per tutta la sua esistenza. Qual è il mio destino, giornalista o scrittore? Scelta impossibile, dubbio irrisolvibile, ma che ha prodotto, nel 1964, il Nouvel Observateur, figlio del moribondo France Observateur, la rivista che rivoluzionò il giornalismo francese dell’epoca, dove si raccontavano i fatti, certo, ma “con eleganza”, come amava sottolineare, dove la soggettività dell’individuo al servizio della comprensione del mondo era il marchio di fabbrica. Con l’industriale e magnate della stampa Claude Perdriel parte alla caccia delle migliori firme di Parigi, degli “stilisti dell’informazione”, vuole abbattere i muri tra letteratura e giornalismo, e dieci anni dopo la fondazione la tiratura supera le 400 mila copie. Sul Nouvel Obs scriveranno Roland Barthes e Michel Foucault, i grandi nomi dell’intellighenzia parigina. Nel 1970, ha creduto al sogno dell’eurocomunismo di Berlinguer. Ma tre anni dopo ci fu il secondo choc della sua vita: la pubblicazione di “Arcipelago Gulag” di Alexander Solzhenitsyn. Quando lo scrittore russo sbarcò in Francia, Daniel fu il primo a manifestargli sostegno e ammirazione, mentre i “camarades” del Pcf lo ricoprivano di insulti.

 

Si appassiona al medio oriente, ma continua a raccontare la politica parigina. Alle elezioni presidenziali del 1981, sostiene in maniera incondizionata François Mitterrand e l’unione della sinistra. “Era difficile amare quest’uomo, ma quanto lo ho amato”, scrisse dell’ex presidente socialista.

“Il più prestigioso giornalista francese si è spento. Fu allo stesso tempo un testimone, un attore e una coscienza di questo mondo”, lo ha ricordato il suo settimanale, l’Obs, come si chiama oggi. Un uomo che con la sola forza della sua plume ha fatto la storia.