Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Com'è fatta la riforma della scuola delle élite francesi che tormenta Macron

Mauro Zanon

Il rapporto sull’Ena e la “discriminazione positiva”

Parigi. E’ arrivato martedì mattina sulla scrivania di Édouard Philippe, capo del governo francese, il rapporto che i grandi corpi dello stato attendono dall’aprile del 2019: il rapport Thiriez, dal nome dell’avvocato incaricato dal presidente Macron di avanzare una serie di proposte per modernizzare l’alta funzione pubblica, e soprattutto l’Ena, la Scuola nazionale di amministrazione, l’istituto che forgia il fior fiore della République. Dopo duecentosettanta audizioni, il rapporto di Frédéric Thiriez prevede, come auspicato dall’inquilino dell’Eliseo lo scorso anno in risposta alla crisi dei gilet gialli e al termine del Gran débat national, di cancellare l’Ena come la conosciamo oggi, e di rimpiazzarla con un’École d’aministration publique (Eap) dedicata alla formazione di tutti gli alti funzionari. L’“urgenza”, sottolinea il rapporto, è quella di diversificare i profili che possono avere accesso all’Ena, dando la priorità ai figli delle classi meno abbienti, attraverso una “discriminazione positiva” come a Sciences Po e la soppressione del temuto test di cultura generale, giudicato “socialmente discriminatorio”.

 

 

“La democratizzazione voluta dai padri fondatori del 1945 non c’è stata. I figli dei dirigenti rappresentano ancora l’80 per cento delle promozioni e questa cifra non è mai calata negli ultimi trent’anni”, si legge nel documento. Per rispondere a questa urgenza, Thiriez ha suggerito una diversificazione del reclutamento con la creazione di una ventina di nuove classi preparatorie (le classi che preparano ai concorsi ultraselettivi delle grandes écoles), almeno una per ragione, chiamate “égalité des chances”, con una quota di studenti selezionata su criteri sociali. L’obiettivo è “rompere il quasi monopolio parigino”. La riforma dell’Ena è un dossier che scotta, perché i grandi corpi dello stato si sentono i capri espiatori di una strategia puramente politica di Macron, di una “rivoluzione demagogica”, dicono alcuni, fatta soltanto per compiacere la gauche della gauche e non rompere definitivamente il legame con le classi popolari. Il rapporto Thiriez, in realtà, non è piaciuto tanto nemmeno al premier e agli altri ministri di destra dell’esecutivo, Bruno Le Maire (Economia) e Gérald Darmanin (Azione e conti pubblici). Secondo quanto riportato dall’Opinion, la proposta di introdurre a margine del concorso generale un concorso speciale riservato agli alunni di origini modesta, sulla scia dell’“Ena delle banlieue” proposta dall’ex ministro centrista Jean-Louis Borloo, avrebbe fatto venire il mal di pancia ai tre gollisti. “L’affirmative action è un problema. Va bene diversificare, ma sulla creazione di un concorso specifico non siamo d’accordo”, ha detto all’Opinion un consigliere di Philippe.

 

 

“Frédéric Thiriez non sapeva se doveva fare piacere al presidente della Repubblica o al primo ministro”, ha sussurrato al quotidiano economico Les Echos un membro dell’esecutivo, riassumendo la tensione che ha preceduto la pubblicazione del rapporto. Nell’editoriale di ieri, intitolato  “La Francia, questo strano paese che non ama le sue élite”, il direttore dell’Opinion, Nicolas Beytout, ha scritto che per ricucire il rapporto con la crème della nazione il governo dovrebbe preoccuparsi di scovare i futuri optimates “tra i banchi di scuola, in ogni fascia sociale, invece di sfasciare uno strumento di eccellenza che molti ci invidiano”. L’Ena, fondata da Charles de Gaulle nel 1945, è un monumento nazionale, un totem che mai nessuno ha osato toccare e che ha formato la colonna vertebrale politica e istituzionale della Francia, sfornando quattro presidenti della Repubblica (Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac, François Hollande ed Emmanuel Macron) e otto capi di governo (Laurent Fabius, Michel Rocard, Édouard Balladur, Alain Juppé, Lionel Jospin, Dominique de Villepin ed Édouard Philippe). Sostituirla con una scuola dove il merito sembra passare in secondo piano, a favore della “discriminazione positiva”, è per Macron una scommessa molto rischiosa.

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