La nomenklatura di Allah

Che fanno i figli dei mullah iraniani? Accumulano e si godono la vita

Giulio Meotti

Roma. In un bosco in riva al lago di Wandlitz, a nord di Berlino, circondata da alte mura e vigilata da un reparto speciale, sorgeva “Honecker City” o “Volvograd”, dal nome delle lussuose auto svedesi guidate dagli alti papaveri comunisti (per il popolo c’era la Trabant). Lì vivevano i notabili della Ddr. Negozi speciali con generi introvabili, ville con piscine arredate con legni e marmi pregiati, elettrodomestici della Germania occidentale. Anche la Rivoluzione iraniana ha la sua Wandlitz.

   

 

“Molti di voi si chiedono dove siano i figli dei capi del regime? A breve riveleremo informazioni interessanti! Seguiteci”. È l’annuncio del canale in lingua farsi dell’esercito israeliano. Seguito da una serie di fotografie. “Il figlio dell’ex vicepresidente Aliabadi accanto a macchine di lusso”. “Il nipote di Khomeini alla guida di una Bmw”. “Il matrimonio del figlio dell’ambasciatore iraniano in Danimarca in uno dei luoghi più costosi di Teheran. Le figlie di alti funzionari che indossano pantaloncini, mentre le persone ‘normali’ sono condannate alle frustate per non aver indossato il velo”. E ancora: “Il figlio dell’ex presidente Khatami all’estero”. Più di 4.000 “aghazadeh” (i figli dei ricchi funzionari del regime iraniano) stanno studiando nel Regno Unito.

 

  

L’impero finanziario del leader supremo, Ali Khamenei, vale almeno 95 miliardi di dollari. Secondo Reuters, Khamenei, il figlio Mojtaba e altri membri della famiglia hanno portato il denaro in banche estere, dalla Svizzera agli Emirati arabi. L’economista iraniano Manouchehr Farahbakhsh, che vive a Londra, ha detto che “da semplici agricoltori prima della rivoluzione islamica sono diventati miliardari”. La ricchezza di Mojtaba, secondogenito di Khamenei, è stimata in tre miliardi di dollari. Il terzo figlio di Khamenei, Seyyed Masoud, responsabile della gestione di molte delle istituzioni estremamente redditizie della Guida suprema, ha accumulato più di 400 milioni. Il figlio minore di Khamenei, Maitham, ha sposato la figlia di uno dei più famosi commercianti iraniani. La figlia maggiore di Khamenei, Bushra, ha sposato il figlio del direttore dell’ufficio del padre, Mohammed Jelbaidjani. L’altra figlia di Khamenei, Hoda, ha un grande interesse per gli abiti firmati e possiede un salone di bellezza. Un nipote di Khamenei, Hassan, ha la responsabilità delle trasmissioni televisive statali, oltre che dell’acquisto di telecamere e altre apparecchiature elettroniche per le stazioni televisive del regime. Il genero di Rohani, Kambiz Mehdizadeh, è stato costretto a dimettersi dopo solo due giorni come capo del Servizio geologico dell’Iran a seguito di accuse di corruzione. Rasoul Tolouei, figlio di un comandante della Guardia rivoluzionaria, è stato fotografato a una festa sontuosa per la figlia di due anni. Il figlio di un diplomatico, Sasha Sobhani, su Instagram posta immagini del suo stile di vita “decadente” in occidente. E così via.

  

Mahmoud Bahmani, ex governatore della Banca centrale iraniana, si è unito alla critica, dicendo che oltre cinquemila “bambini ricchi” del regime vivono al di fuori dell’Iran e che “assieme hanno 148 miliardi nei conti bancari”, più delle riserve di valuta estera del paese. 

  

Intanto, statistiche della Banca mondiale hanno rivelato che l’Iran ha avuto uno spaventoso tracollo economico negli ultimi quarant’anni a seguito del dominio clericale. Le stime della Banca mondiale, basate sul potere d’acquisto iraniano tra il 1976 e il 2017, rivelano che durante questo periodo un iraniano medio è diventato del 32 per cento più povero di prima. Inoltre, più del 40 per cento della popolazione iraniana vive al di sotto della soglia di povertà. I mostafazin, i sanculotti della rivolta iraniana contro lo scià, sono sempre più poveri, mentre i khomeinisti sono sempre più ricchi.

  

È la regola di ogni rivoluzione che si rispetti. Accadde anche in Unione sovietica, come denunciò Michael Voslensky in “Nomenklatura” (Longanesi). Un mondo di nepotismo, dal figlio di Breznev, al ministero del Commercio estero, al genero di Kruscev, che divenne d’un colpo membro del Comitato centrale; un mondo di cimiteri separati, affinché non dovessero mescolarsi nella terra con i proletari; fino ai pigiami comprati ai magazzini Lafayette e alla moquette rosa in ufficio. La vecchia storia d’ingordigia e ipocrisia degli oni, loro in russo, quelli che fanno la rivoluzione.

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.