La Francia è impazzita! Il grido interno contro i “re dello psicodramma”

Mauro Zanon

Il magazine Le Point mette in copertina i francesi riottosi e mai contenti. Le analisi degli intellettuali e i prossimi scioperi

Parigi. Campioni del mondo degli scioperi, 118 giorni in media all’anno ogni mille dipendenti, sempre stressati, nonostante le 35 ore e dei ritmi più blandi rispetti ai loro vicini europei, pessimisti, malgrado un welfare state munifico, “re dello psicodramma”, come scrive il settimanale Point nel suo ultimo numero, dedicando un dossier di sedici pagine a questi francesi mai contenti, riottosi e malmostosi, anche se il loro paese non era mai stato così in forma da dieci anni a questa parte. “La Francia è impazzita”, osserva il settimanale liberale parigino, si conferma quel “paradiso abitato da persone che credono di vivere in un inferno” di cui parla lo scrittore Sylvain Tesson, una nazione che non perde mai l’occasione di lamentarsi, di dire che tutto va a rotoli, anche se non è vero, perché i dati economici sorridono, Parigi è tornata a essere la capitale d’Europa più attrattiva per gli investitori stranieri, e c’è un presidente che ha riportato il paese al centro dello scacchiere mondiale, dopo gli anni mesti dell’immobilismo hollandiano.

 

 

“La Francia, si sa, è il malato d’Europa. La follia prende piede in una nazione quando i suoi membri trasformano ogni minima avversità in una tragedia”, ha detto Pascal Bruckner al Point. La malattia di cui parla il filosofo francese è la déraison, l’irragionevolezza di un popolo che ha il “terrore del cambiamento” e fino a mercoledì mattina bloccava il paese contro un testo legislativo, la riforma delle pensioni, di cui non conosceva ancora i dettagli. “Il nostro paese dà prova di essere stabilmente irragionevole. Ricordiamoci di quando Bourdieu, come Sartre prima di lui, salì su un barile per protestare contro il progetto di riforma (delle pensioni, ndr) di Juppé esclamando: ‘E’ la fine della civiltà’”, aggiunge Bruckner. A ogni riforma annunciata, la temperatura di questa Francia perennemente febbricitante sale a dismisura fino a “rompere il termometro”, scrive il Point. E basta un niente per incendiare il paese. L’aumento di pochi centesimi delle accise sul carburante ha provocato la valanga dei gilet gialli nell’autunno caldo del 2018, ha costretto Macron a scucire diciassette miliardi per arginare il loro malcontento, e condannato il paese, ogni sabato, a una situazione di insicurezza, con gravi rischi di ordine pubblico, che continua ancora oggi. “Quando i francesi invocano la rivolta, va intesa come elogio dei diritti acquisiti, odio del cambiamento, anche se minimo. E’ questa la Francia contemporanea: servile e indignata, poco docile e ossequiosa, desiderosa di rovesciare un governo cui ha chiesto di tutto, tra l’altro, considerando lo stato come un’infermiera, una mater dolorosa incaricata di guarire le ferite”, afferma Bruckner.

 

 

Cosa succederà, ora, con la riforma delle pensioni, dopo gli annunci del primo ministro Édouard Philippe che, invece di placare la collera, hanno ricompattato tutti i sindacati, compresa la Cfdt del riformista Laurent Berger, contro l’esecutivo? Lo spettro di una paralisi e di una grève a oltranza anche durante le feste natalizie si staglia all’orizzonte, e anzi c’è chi non vede l’ora di stoppare “l’orgia consumistica” del Natale, secondo il linguaggio sessantottino della Cgt cheminots, che protegge i macchinisti della Sncf (le ferrovie francesi). “Nessuna tregua per Natale”, ha minacciato su France Info Laurent Brun, prima di aggiungere: “Non erano le nostre intenzioni iniziali, ma dato che il governo, purtroppo, avanza a testa bassa, questo sciopero durerà a lungo”.

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