Un manifesto realizzato dall'ufficio del turismo polacco nel 2005

Sapete che fine ha fatto l'idraulico polacco?

Micol Flammini

Molti emigrati all'estero stanno tornando a casa in Polonia. Anche grazie alla Brexit

Roma. Al governo conservatore polacco non sembra vero, eppure i polacchi stanno tornando a casa. Il PiS, Diritto e giustizia, durante la campagna elettorale che ha preceduto le elezioni del 13 ottobre scorso, aveva promesso di tutto e tra il tutto aveva incluso anche importanti sgravi fiscali per i polacchi emigrati disposti a tornare a vivere in Polonia per lavorare e investire. Aveva riservato una particolare attenzione ai giovani, soprattutto a chi ha meno di 26 anni, approvando una legge che esenta dal pagamento delle tasse chi guadagna meno di ventimila euro (85 mila zloty), un’esenzione “perpetua”, nella speranza di far tornare un po’ di forza lavoro. Ad aiutare le riforme del partito populista è stato un fattore inaspettato, un avvenimento che si è trasformato nella più lunga e straziante storia dei corteggiamenti europei: la Brexit. Dal 2004, anno di adesione della Polonia all’Ue, circa due milioni e mezzo di polacchi si sono trasferiti per lavorare all’estero. Nel 2018, secondo l’Agenzia di statistica polacca, il numero è sceso e 85 mila lavoratori sono tornati in Polonia e non sono soltanto idraulici. Il Financial Times, che sull’argomento ha un reportage pieno di voci e commenti, scrive che i dati sull’emigrazione sono spesso imprecisi e difficili da interpretare, ma tanto quelli forniti da Varsavia quanto quelli che arrivano da Londra indicano che il numero dei polacchi che lavorava in Gran Bretagna negli ultimi 18 mesi è diminuito di diverse decine di migliaia. Per il PiS e anche per la nazione si tratta di una bellissima notizia, il primo ministro Mateusz Morawiecki durante l’estate aveva detto che l’emigrazione dei giovani e della forza lavoro era il prezzo che la Polonia stava pagando ai paesi più ricchi dell’Ue per il suo ingresso in Europa: “Il nostro reddito pro capite è sotto al 5 per cento a causa dell’emigrazione”, aveva aggiunto il premier chiedendo agli altri stati membri di trovare il modo per porre fine a questa fuga.

 

Varsavia ha raggiunto ormai la quasi piena occupazione, la disoccupazione è al 3,5 per cento, le stime di crescita per il 2020 sono del 4,4 per cento, l’arrivo di capitale e di investimenti non è destinato a fermarsi, ma alla nazione manca la forza lavoro, la materia prima. Non volendo prendere misure impopolari, come ha fatto l’ungherese Viktor Orbán all’inizio dell’anno con l’approvazione della “legge schiavitù” che offre ai datori di lavoro la possibilità di imporre fino a quattrocento ore di straordinari all’anno, il PiS ha cercato nuove strade e le spinte centrifughe della Gran Bretagna lo stanno aiutando: per molti tornare è meglio dell’incertezza. La speranza è che il ritorno risolva anche la crisi demografica della nazione, il tasso di natalità, in costante calo, è di 1,32 figli per donna, e pone un ulteriore problema alle speranze di crescita del paese che nonostante abbia un forte bisogno di manodopera è tra i più chiusi in fatto di immigrazione. L’ultima volta che la Polonia ha accettato di accogliere dei richiedenti asilo è stato nel 2015, da allora ha permesso l’ingresso soltanto a lavoratori ucraini e bielorussi. Nonostante il PiS, che governa proprio dal 2015, abbia condotto una forte campagna di chiusura e abbia spesso giocato con l’euroscetticismo, la Polonia è a nazione che ha concesso più permessi di soggiorno nel 2017, ma come ha scritto il Wall Street Journal, che ha definito il fenomeno la più grande ondata migratoria all’interno dell’Ue, si tratta comunque di migranti bianchi, cristiani che spesso hanno anche delle origini polacche.

 

La mancanza di forza lavoro, la forte emigrazione e l’opposizione all’immigrazione, il calo demografico sono degli ostacoli per il futuro della nazione e aumentano il rischio di una Polonia ricca ma desolata. I polacchi si muovono e vanno dove l’Europa si sente di più. Se un tempo approfittavano dell’apertura dei confini per cercare le loro opportunità nei paesi membri più ricchi, ora fuggono dalla Gran Bretagna che lascia l’Unione europea. L’idraulico polacco torna in Polonia e con lui anche tanti professionisti che sono cresciuti e si sono formati nelle università britanniche. Quello che non hanno potuto fare le riforme e le promesse del PiS, ha potuto la Brexit, che in fondo, tra le mille ragioni, era stato un voto anche contro l’idraulico straniero.

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