Viktor Orbán (foto LaPresse)

La campagna antisemita dei sostenitori di Orbán contro due giornalisti

Micol Flammini

In Ungheria Gábor Miklósi e András Dezsö sono presi di mira dai sostenitori del premier

Roma. Sono apparsi dei cartelli per le strade di Budapest che mostrano i volti di due giornalisti, Gábor Miklós e András Dezsö, dietro di loro la bandiera di Israele e, sotto, la scritta: “Anche noi venivamo dall’altra parte del confine”. I due giornalisti sono bersaglio della propaganda di estrema destra, orbaniana e antisemita che dopo la sconfitta elettorale dello scorso ottobre ha ricominciato a farsi sentire nel partito del primo ministro. Incastrato tra un problema interno più piccolo ma bruciante e da uno più grande ed europeo, Fidesz ha deciso di attaccare. Di riprendere il ritmo, senza sosta, e l’aggressività, senza tentennamenti, che mesi fa aveva utilizzato contro gli alleati europei e che aveva portato alla sua sospensione all’interno del Partito popolare europeo, dove ancora oggi vive da sorvegliato speciale. András Dezsö viene attaccato ormai da tempo dai media vicini a Viktor Orbán, circa quattrocento testate, ma Gábor Miklósi è un nuovo bersaglio e la sua esperienza è iniziata allo stadio, nella congiuntura, sempre più stretta, tra tifoserie, estrema destra e una passione sconfinata da parte del primo ministro per il calcio e i suoi templi.

 

 

Agli stadi Orbán ha dedicato molta cura, una recente inchiesta del New York Times aveva anche dimostrato che il governo ungherese destina più fondi agli stadi che agli ospedali, e per l’apertura del Puskás Aréna, un simbolo del passato, demolito e ricostruito in modo che desse lustro al calcio ungherese, il primo ministro ha voluto una grande festa, una acclamazione sontuosa, degna del denaro e delle energie impiegate. Durante la celebrazione Miklósi assisteva dalla tribuna vip, impressionato dalla bellezza dello stadio, un po’ arrabbiato per la sua ricchezza, è rimasto seduto nel momento in cui veniva intonata una canzone, “l’inno non ufficiale” della FC DAC, una squadra di una città slovacca in cui il 75 per cento della popolazione è ungherese. I versi, che il giorno dell’inaugurazione venivano eseguiti da un coro di bambini, sono dedicati alla purezza del sangue ungherese, che va ben oltre i confini del trattato di Trianon, ben oltre Budapest, ma si estende a tutta la popolazione ungherese che vive al di fuori dell’Ungheria. I versi sono stati scritti da un gruppo rock che ha preso ispirazione da Albert Wass, uno scrittore controverso, considerato in Romania colpevole di crimini di guerra. Non è un caso se spesso le canzoni della band vengono cantate da gruppi di estrema destra, dai quali Fidesz non si è dissociato negli ultimi tempi, e se i testi delle canzoni non fanno altro che parlare dell’importanza di avere “lo stesso sangue”, della grandezza dell’Ungheria, e se rievocano concetti pericolosi legati a regimi del passato come la Germania nazista. Mentre il coro intonava la canzone, dagli spalti gli spettatori sono scattati in piedi, hanno iniziato a cantare e a evocare la purezza del sangue che scorre nelle vene degli ungheresi e Miklósi di fronte a un tale spettacolo e cogliendo la gravità delle parole ha deciso di rimanere a sedere.

 

Il suo atteggiamento è stato notato da tutta la stampa, da televisioni e giornali che hanno detto che non si poteva di certo parlare di un comportamento patriottico: quale patriota si rifiuterebbe di alzarsi in piedi durante l’esecuzione “dell’inno della coesione ungherese?”. Il giornalista ha risposto ai commenti dicendo che lui si alza in piedi soltanto per l’inno, ma quello vero, non certo per la canzone di un gruppo rock che trae ispirazione dagli scritti di un criminale di guerra. Sulla questione giornali e televisioni si sono infervorati e la discussione tra commentatori, politici, tutti del mondo di Orbán, si è conclusa con una constatazione: se Miklósi non si è alzato evidentemente era perché “non è dei nostri”, è altro. E ancora: “E’ un miserabile signor nessuno, un vero ungherese si sarebbe alzato”, è “un mostro”. Ovviamente il tema dell’altro, del diverso ha iniziato a diventare sempre più specifico, fino a quando alcuni giornalisti non hanno parlato del problema degli “ebrei galiziani” che hanno invaso l’Ungheria. Racconta il sito Hungarian Spectrum che in pochi hanno preso le difese di Miklósi, soltanto un giornale vicino al partito Jobbik, così Gábor Miklósi ha ritrovato il suo volto accanto a quello di András Dezsö per le strade di Budapest.

 

La scorsa settimana l’Anti Defamation League riportava un sondaggio in cui si registrava un ritorno degli atteggiamenti antisemiti nell’Europa orientale sempre più prominente, vecchi e nuovi stereotipi si fondono e aumentano a causa di una politica che non soltanto non fa nulla per punire il fenomeno, ma ne è parte. Un esempio è arrivato proprio dal vicepresidente del partito Fidesz che ha accusato “gli ebrei” del risultato elettorale in una contea in cui Fidesz ha perso. Come fa notare su Twitter la giornalista di Politico Lily Bayer, in quella contea non esiste più nessuna comunità ebraica, sono stati deportati tutti nei campi di sterminio 75 anni fa. Da parte di Orbán nessun commento, nessuna presa di posizione.

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