Manifestanti in strada ad Hong Kong (foto LaPresse)

Hong Kong, Pechino e la chiesa. Parla l'attivista Lee Cheuk Yan

Matteo Matzuzzi

Intervista al segretario generale dell’Alleanza democratica a sostegno dei movimenti democratici patriottici in Cina: “Non vogliamo che siano i dittatori a scrivere la storia dell’umanità”

Si terrà questa sera alle ore 21 in via Mosè Bianchi a Milano l’incontro “La libertà è la mia patria. Da piazza Tiananmen a Hong Kong”, evento organizzato dal mensile Tempi cui parteciperà anche padre Gianni Criveller, missionario del Pime a Hong Kong dal 1991, sinologo, teologo e preside della scuola teologica di Monza.

 


 

Roma. “Negli ultimi sei mesi il governo cinese non ha risposto a nessuna delle richieste formulate dal movimento di protesta di Hong Kong, anzi ha iniziato a sopprimerlo con la violenza”, dice al Foglio Lee Cheuk Yan, segretario generale dell’Alleanza democratica a sostegno dei movimenti democratici patriottici in Cina. Questa sera Lee sarà a Milano, dove interverrà all’incontro “La libertà è la mia patria. Da piazza Tiananmen a Hong Kong”, organizzato dal mensile Tempi.

 

“I manifestanti sono stati picchiati, raggiunti da proiettili, feriti da esplosioni, ci sono state migliaia di feriti. Non c’è alcun tipo di giustizia”, prosegue: “Abbiamo chiesto che si aprisse un’indagine sulla polizia, ma la risposta di Pechino è stata una forma ancor più stretta di controllo e repressione. Tutto questo sta facendo crescere la rabbia tra la popolazione”. Eppure le recenti elezioni hanno dato un risultato chiaro: “Sì, una buona notizia. I rappresentanti pro democrazia, che avevano il 40 per cento dei seggi, adesso ne hanno l’87 per cento. E’ un messaggio potente, che travalica i confini. Ovviamente, nella pratica la situazione non è cambiata, la violenza della polizia non si è fermata anzi, si è avuta un’escalation”.

 

Ma cosa vuole davvero Pechino? “Noi ci battiamo, ormai da alcuni anni, per la concessione di diritti umani, per la democrazia, perché Pechino la smetta di intervenire nei nostri affari interni. Ma puntualmente il discorso vira sul dover ristabilire la sicurezza nazionale, che secondo loro rischia di essere compromessa dalle proteste. Vogliono ristabilire la sicurezza e accusano il movimento di protesta di essere una sorta di ‘mano nera’ controllata dal resto del mondo. Ma sopprimendo le manifestazioni, in maniera sempre più forte, le autorità stanno compromettendo anche l’economia di Hong Kong”.

 

Intanto, chi avrebbe potuto far sentire la propria voce ha scelto una posizione di estrema prudenza. Il Vaticano, ad esempio. “La posizione della Santa Sede è deludente, non possiamo credere che possa stringere un accordo con la Cina quando il Partito comunista cinese sopprime lo stesso movimento cattolico, con l’incarcerazione di preti e fedeli”, dice Lee Cheuk Yan. “L’intero potere della chiesa cattolica è stato minato dalle autorità cinesi, e l’accordo sta influenzando la partecipazione e la fede della popolazione. Anche a Hong Kong la chiesa dovrebbe essere il sostentamento morale e religioso della richiesta di maggiore libertà, diritti civili e democrazia, ma per ora il suo contributo è stato, lo ripeto, deludente”.

 

Ieri sul tema è intervenuto anche il cardinale segretario di stato, Pietro Parolin, che ha tenuto la prolusione in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico all’Università Cattolica: “Chi ha scelto come metodo la violenza deve rinunciare, e invece percorrere la strada del dialogo, dell’incontro e dell’ascolto”. Dopo le elezioni, ha aggiunto Parolin, “il governo ha detto ‘dobbiamo ascoltare con umiltà le richieste della gente e dei giovani e dobbiamo rifletterci seriamente’. Mi pare che questo sia un atteggiamento giusto”. Quanto alle parole del Papa, pronunciate a bordo dell’aereo che dal Giappone lo stava riportando a Roma – assai prudente su tutto quanto sta accadendo nella città orientale –, il segretario di stato ha osservato che Francesco “ne ha parlato inserendo questo conflitto all’interno della situazione generale di oggi e richiamando tanti altri conflitti che sono in atto in tante altre parti del mondo. Credo che questo sia l’atteggiamento giusto”.

 

Lee Cheuk Yan di manifestazioni epocali se ne intende, lui in piazza Tiananmen c’era. “Sin dagli anni Ottanta sono entrato nel movimento che lottava per i diritti a Hong Kong. Organizzai un concerto per raccogliere fondi e andai in piazza Tiananmen per contribuire finanziariamente alle proteste. Quello che vidi quel giorno fu scioccante: gli studenti continuavano ad arrivare, si vedeva che anche loro volevano la democrazia, maggiori libertà. Avevano la speranza che le cose sarebbero cambiate. Ma la repressione fu enorme. E’ per certi versi la strategia che si sta perseguendo qui a Hong Kong. Per questo abbiamo deciso di aprire un museo che conservi la memoria di quella piazza. Non vogliamo che siano i dittatori a scrivere la storia dell’umanità”.

 

(ha collaborato Luca Roberto)

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.