Fiona Hill durante la sua testimonianza (foto LaPresse)

Più Deep State please

Daniele Raineri

Lo spettacolo potente degli esperti del governo americano chiamati a deporre nell’impeachment contro Trump

Roma. I testimoni chiamati a deporre finora nel caso di impeachment contro il presidente americano Donald Trump hanno spiccato per calma, esperienza e professionalità. Spesso il presidente e i suoi commentatori disprezzano questi professionisti che nella macchina del governo occupano cariche importanti ma sconosciute e li chiamano tutti assieme “il Deep State” – che è un insulto preso di peso dai siti complottisti: credono che nell’Amministrazione si annidi una superstruttura che tenta di governare al posto dei politici. Ma dopo questo primo round di deposizioni viene da pensare che se questo è il Deep State allora per il bene dell’America ci vorrebbe un po’ più Deep State.

 

Ieri c’è stata la testimonianza di Fiona Hill, che al Consiglio per la sicurezza nazionale si occupa dell’area Europa e Russia. Se non ci fosse l’impeachment, non saremmo mai venuti a sapere della sua esistenza. Hill ha spiegato nella dichiarazione d’apertura di essere nata nel Regno Unito, ma di avere scelto di diventare cittadina americana nel 2002 perché in nessun altro posto avrebbe avuto le stesse opportunità. Sono nata povera e ho un accento tipico della mia classe – ha detto – e questo mi avrebbe impedito di accedere a molti lavori di responsabilità, cosa che invece ho fatto qui dopo avere studiato a Harvard. Ha lavorato come specialista di Russia con il presidente repubblicano George W. Bush, con il democratico Obama e poi con Trump, chiamata dal generale Mike Flynn che è stato il primo consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump. “Qualcuno in questa commissione – ha detto ai politici che la interrogavano – crede che la Russia e i suoi servizi di sicurezza non abbiano condotto una campagna contro il nostro paese e che forse, per qualche ragione, l’abbia fatto l’Ucraina”. 

 

“Questa è una fantasia che è stata inventata e propalata dagli stessi servizi di sicurezza russi. La brutta realtà è che la Russia è il potere straniero che ha attaccato in modo sistematico le nostre istituzioni democratiche nel 2016. Questa è la conclusione pubblica delle nostre agenzie di intelligence, confermata da rapporti bipartisan del Congresso. E’ fuori discussione, anche se certi dettagli devono rimanere top secret”. E ancora: “Vi chiederei per favore di non promuovere falsità per scopi politici che aiutano in modo così chiaro gli interessi della Russia. Queste invenzioni sono dannose anche quando sono usate puramente per la politica interna”. Tradotto: vi rendete conto che se voi continuate a sostenere queste idee complottistiche messe in giro dalla Russia date una mano grandissima alla Russia?

 

La risposta è arrivata oggi dal presidente Trump stesso, che in un intervento al telefono con la rete tv Fox ha chiesto ancora una volta: perché i democratici hanno dato il loro server a Crowdstrike, che è un’azienda ucraina? I democratici americani non hanno dato alcun server a Crowdstrike, che inoltre è un’azienda della California, ma il presidente continua a comportarsi come se queste due informazioni verificate ormai da molti mesi non fossero reali. Che poi è quello che ha detto ieri l’attore Sacha Baron Cohen in un discorso molto interessante alla Anti Defamation League: “Sembra che abbiamo perso il senso condiviso dei fatti più semplici da cui dipende la democrazia”.

 

Il tenente colonnello Alexander Vindman, che è nato in Ucraina (allora faceva parte dell’Unione sovietica) ma si è trasferito in America all’età di tre anni con i suoi genitori, lavora al Consiglio per sicurezza nazionale come esperto di Ucraina. E’ stato ferito da una mina quando era militare in Iraq e quando è stato chiamato “Mister Vindman” durante la deposizione ha subito corretto l’interlocutore: “Sono un militare in servizio, tenente colonnello Vindman per favore”. Ha spiegato che ha deciso di sollevare il caso con i suoi superiori quando si è accorto della piega che stavano prendendo le cose – pressioni da parte del presidente Trump sull’Ucraina per ottenere un vantaggio politico – perché crede nella differenza tra l’America e l’Unione sovietica da cui suo padre fuggì più di quarant’anni fa. “In Russia, il mio gesto di esprimere preoccupazione lungo la catena di comando tramite un canale ufficiale e un canale privato avrebbe avuto ripercussioni professionali e personali – testimoniare contro il presidente di certo mi sarebbe costato la vita”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)