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La Spagna ci ricorda quando la coerenza è virtù degli imbecilli

Claudio Cerasa

L’arte del compromesso e le lezioni di Napolitano. Governare il disordine si può e l’Italia può essere ancora un modello

Franza o Italia purché se magna e purché se governi. I risultati delle elezioni spagnole di domenica scorsa, quarto voto nel giro di quattro anni, ci dicono che quando un paese vive una fase di frammentazione molto acuta, quel paese ha di fronte a sé solo due strade possibili: o fare come la Francia o fare come l’Italia. Fare come la Francia, lo sappiamo, significa governare l’instabilità in modo duro e ovviamente coatto, offrendo cioè agli elettori un sistema elettorale e in questo caso anche istituzionale capace di mettere la governabilità (chi vince si prende tutto) su un piedistallo più alto rispetto a quello della rappresentanza (e quando non ci si sente rappresentati può capitare di farlo sapere indossando un gilet). Il modello francese, Slovacchia a parte, non ha ancora fatto presa sul resto d’Europa e nell’attesa che le repubbliche europee possano un giorno esportare il modello delle Cinquième République, basterebbe avere un Micron in attesa di un Macron, non c’è paese che graviti attorno all’orbita europea che non si sia reso conto che se vivi in una fase di frammentazione e non vuoi fare come la Francia, per governare non ti resta che fare come l’Italia: dare ordine al disordine facendosi guidare più dalla dottrina del compromesso che da quella della coerenza.

 

In Spagna, lo avete visto, i partiti più puniti, rispetto all’ultimo voto di aprile, sono stati proprio quelli che negli ultimi mesi hanno reso possibile il replay delle elezioni: Psoe, Ciudadanos e Podemos. I socialisti spagnoli e i popolari spagnoli, finora, si sono sempre rifiutati di fare quello che buona parte degli osservatori europei si aspetta che i due partiti facciano, ovvero mettersi insieme e governare la Spagna senza preoccuparsi troppo delle conseguenze della propria incoerenza – anche perché, come dimostra il boom del partito di estrema destra Vox, i movimenti anti sistema tendono a trarre beneficio anche dal caos e non solo dalla possibile incoerenza dei propri avversari – ma ovviamente la necessità di combattere il disordine con una nuova, inedita e incoerente forma di nuovo ordine non è un problema che tocca solo la Spagna: è un problema che investe buona parte dell’Europa.

 

In Austria, Sebastian Kurz, che ha riportato poche settimane fa il paese al voto dopo aver provato a governare con i sovranisti, ha appena annunciato l’avvio di inedite trattative con i Verdi per la formazione di un governo. In Germania, per evitare di alimentare nuove forme di disordine in una fase già difficile per l’economia tedesca, la coalizione guidata da Angela Merkel, dopo mesi di difficoltà, come ha scritto ieri la Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha “resistito alla tentazione” di far fallire l’alleanza e di andare a elezioni anticipate rompendo l’accordo di governo sulla riforma delle pensioni. Persino in Gran Bretagna romantici teorici dei bipolarismo inglese come Tony Blair si ritrovano a consigliare oggi agli elettori di votare alle prossime elezioni “in modo tattico” i candidati che nelle proprie circoscrizioni possono fare meglio da argine alla Brexit sapendo che il prossimo Parlamento dovrà promuovere intese tra parlamentari storicamente distanti gli uni dagli altri. Se non vuoi fare come la Francia e non vuoi ritrovarti con un piede fuori dall’Europa senza essere neppure un paese come l’Inghilterra che si può persino permettere di essere fuori dall’Europa non ti resta dunque che prendere lezioni da un paese come l’Italia, Ilva a parte, che in un modo a volte lineare e altre volte più creativo non fa che applicare da anni la lezione anti prezzoliniana consegnata nel 2013 al nostro Parlamento dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel momento stesso in cui decise di accettare il famoso bis al Quirinale spiegò cosa significa nell’èra della frammentazione della politica provare a fare ordine nel disordine.

 

“Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. E il fatto che si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche”. In politica, diceva Prezzolini, la coerenza tende a somigliare spesso alla virtù degli imbecilli. E mai come oggi la politica ci insegna che per governare il disordine e non arrendersi al caos, se non hai la fortuna di essere come la Francia ti devi accontentare di giocare con i compromessi come fa l’Italia. Franza o Italia purché se magna e purché se governi – sperando magari, nel farlo, di avere un po’ di grillismo in meno e qualche dose di fortuna in più.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.