Angela Merkel (foto LaPresse)

Dentro alla Cdu iniziano i malumori e c'è chi ha deciso di aprire la crisi

Paola Peduzzi

La Merkel è abituata ai periodi di tempesta e a capo delle polemiche nel partito c’è di nuovo Friedrich Merz

Milano. Un’altra sconfitta elettorale, e la Cdu tedesca ha deciso di aprire la crisi: “Adesso anni di inazione e la mancanza di leadership della cancelliera scendono come una coltre di nebbia sul paese”, ha detto Friedrich Merz, ex deputato cristianodemocratico che avrebbe voluto essere scelto dal suo partito come leader ma è stato scartato, la prescelta è Annegret Kramp-Karrenbauer. Denunciare la mancanza di leadership di Angela Merkel ha un che di bizzarro, ma Merz dà voce ai malumori che non riguardano soltanto lui personalmente, ma tutta la Cdu, ora molto polemica nei confronti delle modalità di successione – una transizione lunga ancorché pianificata – decise dalla Merkel. Merz è in lotta con la cancelliera da lungo tempo (il primo scontro risale al 2002, nemmeno la Merkel era la Merkel), ma quando dice che “non è possibile che questo modello di governo duri ancora per due anni”, cioè fino alla fine ufficiale del mandato, il 2021, molti gli danno ragione.

 

Le elezioni in Turingia di domenica scorsa hanno sottolineato ancora una volta la debolezza della Cdu e la possibile alleanza con la Linke, partito di sinistra, per il governo della regione l’ha amplificata. Il partito perde consensi, si presta a patti considerati innaturali, fatica ad arginare l’estrema destra (in Turingia l’AfD ha preso più voti della Cdu) e potrebbe essere messo sotto scacco dai partner di coalizione, quell’Spd che, in crisi a sua volta, s’è messa a pensare che la via di salvezza sia staccarsi dai cristianodemocratici, tornare a essere sinistra senza compromessi, e mettere a repentaglio il governo. Merz, e altri assieme a lui pure se lui è il più brutale nelle sue esternazioni, dice in sostanza che la Merkel ha deciso di vivacchiare e di sopravvivere, condannando la Cdu a un declino lungo.

 

Mathieu von Rohr, noto giornalista dello Spiegel, ha scritto che la Merkel “quasi non esiste come leader del governo. Fa poca differenza che lei sia in India o a Berlino. Rappresenta soltanto se stessa, come se fosse diventata un monumento alla memoria di se stessa. E’ una star mondiale, ma è ancora la cancelliera?”.

 

I frondisti sono stati redarguiti con molto astio da molti esponenti della Cdu. Una quindicina di deputati ha fatto un comunicato per condannare “una serie di attacchi stupidi sul piano politico e sproporzionati in termini di stile e di contenuti”: questi “autodistruttori” devono smetterla. Il presidente dello Schleswig-Holstein, ha detto che “si tratta di un dibattito alimentato da un pugno di uomini anziani che non hanno potuto avere la carriera che sognavano”, rimettendo la crisi al suo livello base: quello personale. Ma se è vero che la Merkel è sempre stata spietata con i suoi avversari interni, stroncando con ogni mezzo le ambizioni a lei ostili (anche Ursula von der Leyen, prossima presidente della Commissione europea se tutto va bene, ne sa qualcosa), è anche vero che la sua prescelta, la Kramp-Karrenbauer, si sta rivelando al di sotto delle aspettative. Definita “miniMerkel”, la sua posizione non è mai stata semplice: è stata nominata per un soffio alla leadership del partito (il soffio che ha fatto perdere Merz, che pure ha più carisma e una visione politica molto più definita), deve trovare un equilibrio tra la necessità di mostrare continuità con la cancelliera e il desiderio di emanciparsene, e il suo attuale lavoro – è ministro della Difesa – non la fa certo brillare (anche su questo la von der Leyen avrebbe molto da dire). Nonostante le attenuanti, il risultato è che la Kramp-Karrenbauer piace poco e piace sempre meno, e anzi al congresso della Cdu previsto per il 22-23 novembre molti vogliono discutere proprio del nome del futuro candidato alla Cancelleria, e potrebbe non essere quello designato.

 

La Merkel, come è sua abitudine, non commenta e ribadisce che il percorso della sua successione è chiaro e stabilito. E’ passata talmente tante volte nella tempesta “è la fine della Merkel” che sa come proteggersi e anche come farla durare poco. Ma i passaggi di consegne sono dei processi a sé: tutto d’un tratto, quando è ora di chiudere una stagione, ci si dimentica di quanto sia stata vantaggiosa quella stagione (quattro mandati della Cdu al governo: non è poco) e anzi si tenta di regolare i conti, nel cambio di leadership, tutti insieme. Personali, politici, di alleanze, di posizionamento, ogni cosa, in una volta sola. In questa fase chi deve andare è inevitabilmente più debole, per di più se, come in questo caso, qualcuno ha il dubbio che sia la stessa Merkel a non essere più così sicura che la Kramp-Karrenbauer sia il delfino giusto.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi