Al fondo delle proteste in Libano e Iraq c'è una disconnessione rabbiosa con l'Iran

Daniele Raineri

I giovani sciiti chiedono posti di lavoro, Teheran offre la solita rivoluzione khomeinista

Per anni abbiamo accettato una versione molto semplice a proposito dei giovani sciiti in medio oriente. Sono attratti, specie quelli che vivono in povertà e sono moltissimi, dal regime khomeinista dell’Iran, che per loro è una guida politica, un punto di riferimento spirituale e spesso anche un centro di reclutamento militare. Ebbene, i fatti delle ultime tre settimane hanno fatto saltare questo schema: dal sud del Libano all’Iraq ci sono novità importanti e decisamente poco buone per Teheran. Andiamo con ordine. In Libano da giorni ci sono proteste molto grandi, come non si vedevano da almeno dieci anni in un paese dove si protesta spesso, contro il governo considerato incapace e corrotto. La notizia che stava per arrivare una tassa (circa 0,18 centesimi di euro al giorno) anche su WhatsApp e sulle altre app che permettono di comunicare gratis ha riempito le strade del paese di manifestanti furiosi che hanno lasciato cadere le solite distinzioni fra religioni: sciiti, sunniti e cristiani vanno assieme a braccetto a bloccare il traffico e a bruciare copertoni. Le proteste sono state molto partecipate anche nel sud del paese, che è un’area dove per tradizione il gruppo Hezbollah è molto forte. Nelle strade di Tiro, di Sidone e di Nabatieh si protesta contro il governo e se ne chiede la fine.

 

Ma protestare contro il governo è anche protestare contro Hezbollah, che del governo libanese fa parte ed è armato e finanziato dall’Iran. Il regime iraniano offre da anni ai libanesi la visione di un blocco militarizzato che dai confini dell’Afghanistan arriva sulle sponde del Mediterraneo e coinvolge tutti nella missione grandiosa di espandere la rivoluzione khomeinista. Loro invece, gli sciiti libanesi che protestano, vorrebbero usare WhatsApp gratis come in tutto il resto del mondo e magari avere un governo meno corrotto e una raccolta della spazzatura più efficiente. C’è disconnessione. Da due giorni i simpatizzanti di Hezbollah, in moto e con le bandiere gialle del gruppo, fanno caroselli per intimidire i manifestanti, ma la proporzione è a favore di questi ultimi in modo gigantesco. Centinaia contro decine di migliaia. I motociclisti gridano “Sciiti, sciiti, sciiti”, come a voler ricordare: la professione religiosa dovrebbe prevalere sulla politica. Ma è chiaro che è una bella crepa. La questione è ancora più seria in Iraq, dove venerdì 25 è prevista una grande protesta contro il governo per chiedere conto delle almeno centocinquanta persone ammazzate in piazza durante le proteste nei primi 12 giorni di ottobre. Sui social la gente trasforma la foto profilo in una foto del Joker, per significare la propria esasperazione contro il governo che è considerato un accrocchio di fantocci dell’Iran. A protestare in massa ci sono i giovani sciiti del quartiere alveare di Sadr City, l’area a più alta densità abitativa della capitale Baghdad. Un tempo era Saddam City, ma nel 2003 i suoi abitanti l’avevano subito ribattezzata con il nome del predicatore sciita Al Sadr. I toni anti iraniani sono molto espliciti: tra gli slogan della piazza che non sopporta più la povertà in un paese che ha riserve enormi di greggio c’è “Fuori l’Iran”. La settimana scorsa Reuters ha fatto uno scoop che non ha avuto molta risonanza soltanto perché la questione curda assorbiva l’attenzione generale: a uccidere i manifestanti sono stati cecchini delle milizie irachene filo Iran, appostati sui tetti senza alcun coordinamento con le forze di sicurezza ufficiali.

 

Del resto quest’aria di sedizione corre tra gli stessi iraniani, che non capiscono il motivo di una politica estera da superpotenza, con miliardi spesi qui e là per rafforzare l’egemonia dal Libano all’Iraq alla Siria allo Yemen, quando in casa persino il prezzo oscillante dei generi alimentari è un problema per la gente comune. E infatti prima che in Iraq e in Libano le proteste sono scoppiate in Iran – e sono state soffocate con la violenza.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)