Il campo profughi di Lesbo in Grecia (foto LaPresse)

Erdogan si muove in Siria e l'Ue teme una nuova ondata di migranti

Luca Gambardella

Il ministro tedesco Seehofer prevede uno scenario peggiore di quello del 2015 e i leader europei sono ancora più cauti di prima su qualsiasi sistema di ripartizione

Due giorni fa il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, ha rilasciato una dichiarazione molto forte, che avrebbe dovuto incentivare i suoi colleghi riuniti a Lussemburgo a incollarsi alla sedia e a discutere una vera politica Ue sull’immigrazione. “Nell’autunno del 2019 – ha detto Seehofer alla Bild – bisogna tenersi pronti a una ondata migratoria senza precedenti, anche più grande di quella del 2015”. D’altra parte, il vertice di martedì non ha portato a risultati concreti sul piano di redistribuzione dei migranti. E’ molto probabile però che il prossimo 17 ottobre le parole di Seehofer, che in Germania hanno già avuto molto risalto, saranno prese in esame con più attenzione dagli altri leader europei, riuniti al vertice dei capi di stato e di governo.

 

 

In patria, il ministro della Csu bavarese ha il suo bel daffare a gestire le critiche che arrivano sia dall’estrema destra, sia dal suo stesso partito per il cambio di rotta sulla politica migratoria nell’ultimo anno, che non è più di chiusura bensì di cauta gestione dei flussi. Ma oltre a serrare i ranghi attorno a sé in Germania, Seehofer ha usato toni apocalittici anche per mandare un messaggio ai partner europei che suona più o meno così: qualcosa sta cambiando di nuovo, e non per il meglio, quindi dobbiamo sbrigarci. Quello che sta cambiando è il fronte del Mediterraneo orientale, quello che finora è stato tenuto a bada dall’accordo del 2016 tra Turchia e Ue. Negli ultimi mesi è successo che le maglie della Guardia costiera turca che sorvegliano il mare Egeo si sono allargate. Ogni volta a pagarne i costi più di tutti è stata la Grecia, che ha sempre più difficoltà nella gestione dei campi profughi. E in Germania, che è il paese europeo che accoglie il maggior numero di richiedenti asilo, si torna a guardare con preoccupazione alla rotta balcanica, perché gli ultimi sviluppi rischiano di rendere meno gestibili i flussi migratori.

 

Oggi, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha lanciato la sua operazione militare per sconfinare nel nord della Siria, in un’area profonda una trentina di chilometri. Il suo scopo, già annunciato più volte, è quello di riversare lì almeno un terzo dei tre milioni di siriani che in questi anni hanno abbandonato il paese in guerra. Uno scenario che apparentemente potrebbe fare comodo ai paesi europei. Che però non sembrano troppo convinti: oltre all’allarme lanciato dalla Germania, altri paesi europei – Francia compresa – hanno usato toni più cauti su qualunque piano di redistribuzione dei migranti sul modello dell'accordo di Malta.

 

Gli effetti dell’intervento turco in Siria sui flussi migratori verso l’Europa sono ancora tutti da decifrare. Ma è chiaro che Erdogan oggi ha ancora più punti di forza per costringere l’Ue a rinegoziare gli accordi con i migranti. Si tratta di un’eventualità di cui i 27 stati membri avrebbero volentieri fatto a meno: da tempo, il presidente turco lamenta il mancato pagamento di parte dei 6 miliardi di euro promessi dall’Ue, e anzi chiede un miliardo in più. Erdogan ha dichiarato più volte che finora la Turchia ha speso circa 37 miliardi di euro per fare il lavoro sporco e tenersi tutti i migranti che l’Europa non vuole. L’economia turca ultimamente è in difficoltà, la lira rischia un’ulteriore svalutazione ed Erdogan ha sempre meno alleati in occidente. La Turchia, insomma, ha bisogno di tornare a trattare con i partner europei e, oggi più che mai, potrebbe farlo da una posizione di forza. “Diciamo che Erdogan ha la possibilità, ancora più di prima, di aprire e chiudere il rubinetto dei migranti verso l’Europa”, spiega al Foglio il ricercatore dell’Ispi, Matteo Villa. Il piano turco dovrebbe riportare almeno un milione di profughi siriani in patria e per Villa è difficile immaginare che non ci siano conseguenze sui flussi migratori diretti in Europa e finora bloccati in Turchia: “I rimpatri forzati che ha in mente Erdogan hanno dei punti deboli. Intanto, molti dei profughi siriani hanno paura di tornare nel proprio paese. Si ritroverebbero in luoghi ostili, a loro sconosciuti – dice Villa – Per questo la situazione rischia di essere poco gestibile: è probabile che, non appena Erdogan avrà spazzato via i curdi, i profughi facciano di tutto per riprendere la via dell’Europa ed evitare di essere spediti in Siria”. Nei piani dei turchi, l’operazione militare dovrebbe essere molto rapida. “E altrettanto rapidamente si rischia di tornare a una situazione di emergenza come quella del 2015”, dice il ricercatore dell’Istituto per la politica internazionale, esperto di immigrazione. “Se l’Ue crede davvero che creare una zona cuscinetto in Siria possa assorbire il flusso di migranti, sbaglia. I trend recenti degli arrivi dalla Turchia verso la Grecia sono di nuovo in crescita. Si rischia di giocare col fuoco”. Oggi, il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha chiesto la fine immediata dell’operazione militare in Siria: ”La Turchia è un partner chiave, non ultimo nella cooperazione sull'immigrazione". Ma "questa azione militare non porterà a buoni risultati e questo lo dobbiamo dire ai nostri amici turchi. Se i piani turchi comprendono la creazione di una zona sicura, non aspettatevi che l'Ue paghi per questo”, ha detto Juncker.

 

Oltre ai migranti, Erdogan ha un’altra carta da giocare con l’Ue: quella delle risorse energetiche. Ieri, tre paesi – Cipro, Grecia ed Egitto – hanno condannato le operazioni di ricerca e trivellazione petrolifere avviate unilateralmente dai turchi nelle acque territoriali cipriote. Nel comunicato, i tre fanno appello all’Ue, affinché intervenga contro “l’azione provocatoria” lanciata da Ankara, perché avviata “in violazione del diritto internazionale”, considerato che Cipro aveva già appaltato le attività di esplorazione a compagnie italiane e francesi. Ma per la Turchia, l’Ue non è un arbitro imparziale nella disputa, visto che Cipro è un suo stato membro che Ankara non ha mai riconosciuto. Juncker ha criticato le perforazioni turche nell'est del Mediterraneo definendole "illegali". “Rimarrò pienamente solidale con Cipro”, ha detto.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.