Nigel Farage a una convention del Brexit Party (foto LaPresse)

Farage offre un patto elettorale a Johnson (incastrato tra tribunali)

Gregorio Sorgi

In caso di elezioni anticipate il leader del Brexit Party sarebbe disposto a evitare di correre contro i conservatori negli stessi collegi. Il premier, però, si mostra sempre più conciliante con i remainer

Roma. Dopo settimane di allusioni, Nigel Farage ha proposto pubblicamente un “patto di non aggressione” a Boris Johnson in vista delle imminenti elezioni generali. Il leader del Brexit Party ha acquistato una sovracopertina sull’edizione di ieri del Daily Express e una pagina di pubblicità sul Sun, i due tabloid britannici più letti e sostenitori della hard Brexit, per sollecitare il premier a concordare una strategia elettorale. L’offerta di Farage è di non presentare alcun candidato del Brexit Party nei seggi dove i conservatori hanno una maggioranza o sperano di poterla ottenere alle prossime elezioni. In cambio i Tory dovrebbero farsi da parte nelle circoscrizioni euroscettiche e tradizionalmente filo laburiste – concentrate nel nord est dell’Inghilterra, nelle Midlands e nel sud del Galles – dove il Brexit Party vuole prendere seggi al Labour. In questo modo Farage vuole evitare di frammentare il voto euroscettico – attualmente diviso tra i conservatori con circa il 30 per cento e il Brexit Party con il 14 – e far eleggere in Parlamento una maggioranza a favore del no deal. Farage ha posto una condizione: Johnson deve impegnarsi a uscire dall’Ue senza accordo, rifiutandosi di sottoporre al voto del Parlamento qualunque forma d’intesa con l’Unione europea. Nella lettera al Daily Express, l’ex leader dello Ukip è andato oltre la Brexit chiedendo al premier di adottare un programma comune su alcuni temi. Farage ha proposto un piano di investimenti nelle aree meno sviluppate della Gran Bretagna, da finanziare attraverso i fondi europei e le risorse destinate all’HS2 (un grande progetto per costruire una rete ferroviaria ad alta velocità) e ai paesi in via di sviluppo. L’offerta di Farage farebbe guadagnare alcuni seggi al partito di Johnson – che da solo non avrebbe una maggioranza in Parlamento secondo la maggior parte dei sondaggi – ma finora il premier resiste nel timore di perdere altri parlamentari ed elettori moderati. “Per vincere le elezioni i conservatori devono conquistare i seggi nel nord dell’Inghilterra che hanno votato per il leave. Theresa May ci provò nel 2017, ma le andò molto male e riuscì a vincere solo in sei di questi collegi”, spiega al Foglio il politologo Matthew Goodwin: “Un’alleanza informale con il Brexit Party renderebbe tutto più facile per i Tory, dato che entrambi i partiti si contendono lo stesso elettorato. Il problema è che Johnson e Farage non vanno d’accordo, non c’è alcun feeling tra di loro”. Se il premier rifiuterà l’alleanza, come ha sempre detto di voler fare, Farage potrà accusarlo di avere tradito “il sogno della Brexit” sperando di rubargli voti tra l’elettorato conservatore più radicale.

  

 

Al momento però l’ipotesi del no deal entro il 31 ottobre è svanita, il premier ha cambiato tono mostrandosi più conciliante con i remainer del suo partito e determinato a uscire dall’Unione europea con un accordo. Nel consiglio dei ministri di martedì avrebbe detto di essere il “premier conservatore più liberale degli ultimi decenni” e ieri ha annunciato di voler concedere il diritto di residenza di due anni agli studenti europei laureati in Gran Bretagna come segno di apertura. La strategia oltranzista di Johnson si è rivelata un fallimento e la conferma è arrivata ieri dal Tribunale civile supremo in Scozia che ha dichiarato illegittima la proroga della Camera dei comuni decisa dal governo. “La decisione ostacola il lavoro dei parlamentari e quindi è nulla e non ha alcun effetto”, hanno dichiarato i giudici a proposito della sospensione entrata in vigore martedì scorso e in programma fino al 14 ottobre. Il tribunale non ha precisato se la sentenza comporta la riapertura immediata dei Comuni, ma ha delegato la decisione alla Corte Suprema britannica che ha convocato una seduta di emergenza per il 17 settembre.

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