Matteo Salvini incontra il vicepresidente del Consiglio di Libia Ahmed Maitig, lo scorso luglio al Viminale (foto LaPresse)

Hai presente Tripoli?

Daniele Raineri

Salvini era l’unico che diceva qualcosa sulla guerra civile in Libia. Dopo di lui il nulla

Roma. Se Matteo Salvini esce dal governo dell’Italia (come è molto possibile) ci potrebbero essere conseguenze sulla crisi in Libia. Salvini all’interno del governo gialloverde era l’unico con le idee chiare a proposito della guerra civile che si combatte attorno alla capitale libica Tripoli. Da quasi sei mesi il governo di Fayez al Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e sponsorizzato dall’Italia, resiste all’urto delle forze del generale Khalifa Haftar che sono sostenute in modo plateale dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Egitto – e in modo meno plateale dalla Francia, che non si espone ma sarebbe pronta a raccogliere i frutti sul campo se Haftar dovesse vincere.

 

  

Salvini ha definito le forze di Haftar “ribelli”, in questo modo azzerando le pretese di legittimità – le stesse pretese che le hanno spinte ad autodefinirsi “Esercito nazionale libico” anche se sono un assortimento di milizie non migliori di quelle che stanno con Serraj e ad autoassegnarsi numeri fittizi per sembrare reparti di un esercito regolare (perché chiamarsi Battaglione 112, per esempio, suona meglio che chiamarsi Battaglione dei martiri).

 

Inoltre Salvini ha definito i raid aerei delle forze di Haftar “inaccettabili”. Sembra poco e sono soltanto dichiarazioni, ma spiegano come Salvini avesse raccolto la posizione dei governi precedenti: l’Italia sta con Serraj e lo appoggia nei negoziati pacifici per ricucire la Libia. Il primo viaggio di Salvini all’estero era stato proprio a Tripoli – certo, c’era l’interesse per la questione migranti ma nessuno vola in Libia senza un buon motivo. Non è azzardato dire che proprio la posizione debole del governo gialloverde potrebbe essere stata tra i fattori che hanno convinto Haftar a rompere gli indugi ad aprile e a ordinare l’offensiva per prendere Tripoli, che doveva nella sua testa durare un paio di giorni e invece ha fatto più di mille morti, ha distrutto ogni possibilità di trattativa e non lascia ancora capire come finirà. Se al governo in Italia litigano anche soltanto per una linea ferroviaria pagata a metà dall’Europa, figurarsi se avranno una posizione forte sulla Libia, deve aver pensato il generale.

 

 

Ecco, se la voce dell’Italia era già flebile prima, figurarsi adesso che si prepara un governo Pd-Cinque stelle. Per Haftar la situazione è eccellente. Due mesi fa il Pd s’è ribellato al rifinanziamento delle missioni italiane in Libia – che erano state decise dai governi Pd precedenti. In quanto ai Cinque stelle, essi non hanno una posizione o un’idea della Libia, obbediscono all’algoritmo della Casaleggio Associati che è molto sensibile ai social media. Se i social prendessero una piega a favore di Haftar (o fossero manipolati in quella direzione) l’Italia farebbe inversione e appoggerebbe il generale. Nota finale: c’è un contingente di trecento militari italiani nella città libica di Misurata, dentro a un aeroporto che è già stato bombardato quattro volte. Del resto questo è il populismo: fanno più impressione gli accoltellatori nordafricani inesistenti delle milizie nordafricane che sparano missili per davvero.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)