Emmanuel Macron e Angela Merkel (foto LaPresse)

Quel che l'Italia non capisce della coppia franco-tedesca

Jean-Pierre Darnis

È un rapporto che può apparire politicamente debole ma si regge sulla creazione e il progressivo rafforzamento di molteplici istituzioni

Roma. La conferma di Ursula von der Leyen a Bruxelles rappresenta una vittoria franco-tedesca, una soluzione politica elaborata nell’ambito del rapporto fra Emmanuel Macron e Angela Merkel. In Italia non si fa che criticare “l’asse franco tedesco”: ogni decisione che esprime un compromesso fra Parigi e Berlino è percepita come la manifestazione di un’intesa che vuole escludere altre forze, in particolare l’Italia. La visione di un duopolio ferreo non è soltanto lontana dalla realtà, ma esprime anche la specifica difficoltà attuale dell’Italia di cogliere le sfumature del gioco europeo. Il rapporto franco-tedesco viene chiamato “tandem” a Berlino e “motore” o “coppia” a Parigi. La differenza con l’Italia è palese fin dal linguaggio: “asse” porta con sé un riferimento storico funesto, quello delle potenze dell’Asse durante la Seconda guerra mondiale. Ma è proprio nel contesto storico del dopo guerra che con De Gaulle e Adenauer si pensò di instaurare un meccanismo di amicizia fra Francia e Germania che potesse costruire una convivenza pacifica e assicurare una relativa convergenza nel contesto europeo.

 

Questo meccanismo di tutela si è concretizzato nel Trattato dell’Eliseo firmato nel 1963, successivamente aggiornato e ampliato dal Trattato di Aquisgrana nel 2019. Il punto fondamentale è quello della divergenza fra Francia e Germania. Dal periodo napoleonico in poi, il nazionalismo tedesco cresce in contrasto con la Francia. La guerra franco-prussiana del 1870 inaugurerà un ciclo bellicoso che andrà avanti poi nella Prima e Seconda guerra mondiale. Durante tutta la prima metà del Novecento, Francia e Germania si percepiscono a vicenda come nemici. L’odio franco-tedesco è talmente radicato che ancora oggi è considerato necessario un meccanismo bilaterale di convergenza.

 

Nelle ultime settimane ci sono stati numerosi screzi tra Parigi e Berlino, con critiche incrociate esplicite. Con la presidenza Hollande, la relazione franco-tedesca pareva di bassa intensità, mentre Macron è spesso sembrato velleitario nei confronti di una Germania resa prudente da un nuovo ciclo politico interno. Negli ultimi anni i commentatori francesi e tedeschi non hanno risparmiato le critiche a un rapporto spesso descritto come inceppato.

 

Se il rapporto franco-tedesco odierno è in crisi, allora perché è così diversa la percezione italiana? Dagli anni Novanta in poi si è diffusa in Italia una lettura geopolitica fuorviante che presenta le dinamiche europee come se si basassero esclusivamente su giochi di potenze nazionali contrastanti, tralasciando i meccanismi istituzionali dell’integrazione e l’idea di un bene comune europeo. Questa interpretazione non coglie l’essenza del rapporto franco-tedesco, un rapporto che può apparire politicamente debole ma che si regge sulla creazione e il progressivo rafforzamento di molteplici istituzioni.

 

Con il Trattato dell’Eliseo del 1963 sono state stabilite riunioni trimestrali dei ministri degli Affari esteri e istituite riunioni periodiche di alti funzionali: una consultazione permanente per sviluppare le convergenze. Anche i ministri della Difesa si ritrovano ogni tre mesi mentre gli Stati maggiori si consultano ogni due mesi. Sono stati istituiti il Consiglio franco-tedesco per la difesa e la sicurezza e il Consiglio economico e finanziario franco-tedesco. Nel 2018 viene creato un Consiglio franco-tedesco di esperti economici per sviluppare le convergenze sulle analisi economico- finanziarie. Il Trattato del 1963 prevedeva un summit governativo bilaterale una o due volte l’anno. Nel 2003 si è poi evoluto in un Consiglio dei ministri franco-tedeschi dove possono anche essere coinvolti rappresentanti delle regioni frontaliere, mentre è stato creato un posto di “segretario per la cooperazione franco-tedesca” in entrambi i governi (spesso ministri incaricati degli Affari europei), che svolge il ruolo di perno permanente fra i governi. Nel 2009 si è iniziato inoltre a invitare i ministri dell’Economia nel Consiglio dei ministri dell’altro paese una volta l’anno. Si tratta di un meccanismo ampliato poi nel Trattato di Acquisgrana del 2019 che prevede che al meno ogni trimestre un ministro di uno dei due paesi prenda parte al Consiglio dei ministri dell’altro.

 

In sintesi, almeno due volte l’anno un ministro francese prende parte a un Consiglio dei ministri tedesco e viceversa. Vengono poi pianificate sessioni parlamentari comuni. Dagli anni Novanta in poi è stato istituito lo scambio di alti funzionari, dirigenti dell’amministrazione pubblica francesi e tedeschi che si trasferiscono per periodi di circa tre anni nell’altro paese dove vengono inseriti nei servizi ministeriali e non agiscono quindi in rappresentanza del paese di origine. Ci sono permanentemente una ventina di funzionari in scambio fra Berlino e Parigi, nei ministeri dell’Economia, della Giustizia, degli Esteri. Questi scambi sono molto ricchi e vantaggiosi perché hanno permesso una crescita della conoscenza dei meccanismi decisionali in entrambi le capitali, ma contribuiscono anche a creare una rete informale di relazioni fra dirigenti pubblici, un fattore estremamente utile quando sorgono problemi o quando bisogna ricercare una convergenza.

 

Nel 1989 è stata creata anche la brigata franco-tedesca: è stata impiegata talmente poco che un rapporto della Corte dei Conti del 2011 ne suggeriva la dissoluzione ma rimane come un punto simbolico importante della volontà di pace fra entrambi i paesi.

Le relazioni franco-tedesche appaiono in crisi anche perché i principali leader non riescono a mettersi d’accordo su un riformismo europeo che possa segnare una svolta. Ma l’impossibilità di definire una convergenza dall’alto ha spinto a rinforzare i meccanismi di consultazione e di convergenza dal basso. Si tratta di un “metodo bilaterale” che si traduce in una consultazione costante: un compromesso su cui si lavora a livello istituzionale in modo continuo, un esempio utile anche per altri paesi, a cominciare dall’Italia.