Vladimir Putin (foto LaPresse)

La democrazia illiberale del Cavaliere di bronzo

Giuliano Ferrara

Affabile e rassicurante con l’intervistatore britannico, Putin parla di valori, occidente e Realpolitik. Ed evoca il modello di Pietro il Grande. Ma la sua lezione è un bluff

A colloquio con Lionel Barber del Financial Times, Putin parla in modo rassicurante, composto, ironico, in certi casi come quello dell’eliminazione del “traditore” Skripal arriva al dileggio cinico, ma in genere il capo della Russia si mantiene fedele a un freddo schema di ordine e razionalità politica estrema: non minacciamo nessuno, siamo contro la ripresa della corsa agli armamenti, andiamo a braccetto con la Cina per tante ragioni ma ci aspettiamo che quel mattocchio esagerato di Trump, un non politico, eviti forzature rischiose, abbiamo risalito la china da uno stato di pericolo e disordine, l’importante in Russia è la stabilità nella democrazia elettorale diretta, in occidente invece contano le oligarchie e le élite che hanno abbandonato il popolo, il liberalismo non è più la chiave di volta del mondo contemporaneo, ha inasprito con scelte folli multiculturali la crisi dell’immigrazione, la gente non vuole essere minacciata dai nuovi venuti, e ha abbandonato i valori della tradizione in materia di genere (un ragionamento tipo “ho molti amici omosessuali ma non accetto il dubbio nichilistico sull’identità sessuale originaria”). Putin è seduto in una sala bianca di stucchi, nel cuore del Cremlino, tratta da pari a pari con gli intervistatori british, suggestionati ma senza servilismo dalla sua evidente potenza culturale e argomentativa frutto della alta scuola kagebista e di un talento personale invidiabile.

  

I conti tornano alla perfezione, tra i due londoners seduti al tavolino davanti a un altro erede come loro di una cultura imperiale, che cita come modello eterno della Russia Pietro il Grande, il costruttore spietato di San Pietroburgo e della sua Grandeur, una città “premeditata” di stile europeo, come europeo è lo stile della Ragion di stato esposta apertamente o tra le righe dal capo russo. Il presidente della Federazione russa è a un passo dall’ammissione di responsabilità nel caso Skripal, i traditori vanno puniti severamente, c’è stato un morto casuale, ma in fondo nell’azione propriamente non è morto nessuno, e comunque non si fa la spia impunemente contro di noi, eppoi che volete che sia un caso tragico individuale di fronte agli interessi vitali di milioni e miliardi di uomini e donne con le loro speranze e il tesoro dei loro stati e delle relazioni tra di essi. Sono da vent’anni al potere, dice, e ho potuto capire molte cose del mondo contemporaneo.

  

Non abbiamo dubbi, si vede a occhio nudo che ha capito un sacco di cose, fino al punto di graffiare con una punta di efficace arroganza l’idea liberale, come la chiama lui, che ha esaurito la sua forza propulsiva. Ma qui casca l’asino. Dal colloquio è assente la benché minima osservazione sulla natura del potere in Russia, sul controllo massiccio del sistema dell’informazione, sul conformismo indotto nelle grandi maggioranze costruite attraverso la mitografia di un potere personale plebiscitario che pensa per tutti, sul governo d’acciaio delle relazioni economiche, dei quattrini, delle regole di legislazione e amministrazione della giustizia, dell’autonomia dei corpi intermedi, dello stato d’animo reale tra il popolo suddito consenziente nella grande Russia, insomma non si vedono né domande né risposte sull’essenza dell’idea liberale, dello stato di diritto. Tutto questo non è strano affatto: per tenere una conversazione persuasiva in cui rifulga il paternalismo realista, autoritario ma formalmente legittimato, di un sistema di governo costruito in vent’anni, era necessario puntare su valori, politica estera, ideologia, Realpolitik sugli scenari di crisi, ma escludendo tassativamente la questione delle questioni: la Russia è forse più libera di quanto lo sia stata in passato, ma è un paese libero?

  

L’europeo spinto Putin si diverte anche a titillare con tratti sofisticati e colti il mattocchio Trump, suo buddy, e gli eccessi tipici della democrazia americana, tra i quali la fissazione del muro al confine del Messico, ma la lezione di democrazia ordinata e antiliberale o illiberale non torna proprio quando sembra trionfare, tutti sanno che ancora per un po’ il carattere saliente delle democrazie liberali è che il potere è contendibile, la società civile costruisce la sua sovranità attraverso la divisione e il conflitto, che niente di statuario, colossale, marmoreo, nessun modello alla Pietro il Grande, è ancora per alcun tempo anche solo lontanamente possibile. E allora la lezione di democrazia illiberale sembra uscire dalla bocca del Cavaliere di bronzo, la statua equestre del grande zar a cui Puškin dedicò un poema memorabile, issata, con il cavallo che si imbizzarrisce per la minaccia di un serpente, sulla roccia più pesante mai spostata a memoria d’uomo, davanti alla Neva. La leggerezza e una certa informalità della conversazione putiniana con i londoners a questo punto si rivela un bluff.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.