foto LaPresse

Non è con il controllo di stato che si può imporre l'etica della responsabilità

Giovanni Maddalena

La menzogna di Boris Johnson (querelato da un privato cittadino accusato di “cattiva condotta nell’esercizio di un pubblico ufficio”) e le virtù civili

Il curioso caso del processo per menzogna a Boris Johnson ha qualcosa da insegnarci. Innanzitutto i fatti. Il celebre politico inglese è stato querelato da un privato cittadino per aver detto, e fatto scrivere sui bus inglesi, che il Regno Unito dava ogni settimana 350 milioni di sterline all’Europa. “Dalli invece alla sanità nazionale. Vota Leave”, diceva la pubblicità. Ovviamente non era vero. Il Regno Unito non dava affatto 350 milioni di sterline alla settimana all’Unione europea e, secondo il giudice che ha firmato l’ordine di comparizione, in quanto ministro degli esteri del momento, Johnson sapeva di mentire e ha esercitato il suo ruolo nella menzogna. Ora è accusato di “cattiva condotta nell’esercizio di un pubblico ufficio” e dovrà comparire davanti a una corte che deciderà se proseguire con il processo.

 

Lasciando perdere i problemi della giustizia inglese, il caso suscita qualche domanda. Un pubblico ufficiale può mentire per ragioni politiche? Lo stato deve sancire la menzogna quando svia il pubblico e viene utilizzata da una persona con incarico pubblico? E più in profondità: le nostre asserzioni ci impegnano, ci obbligano a rispondere di ciò che diciamo o si può dire tutto ciò che si vuole?

 

Johnson ovviamente si difende dicendo che i giudici non possono decidere che cosa si può dire o no in politica. In questo, il celebre politico ricalca un’affermazione, come sempre acuta, del suo antesignano Winston Churchill. Il grande leader aveva una volta dichiarato in Parlamento che la marina inglese aveva distrutto l’intero arsenale di sommergibili tedeschi. Un direttore dell’ammiragliato gli fece notare che in realtà ne avevano distrutti solo 9 su 57. Al che Churchill rispose: “Ci sono due modi per affondare sommergibili in questa guerra. Possiamo farlo nell’Atlantico ma anche in Parlamento. Il problema è che voi ci state mettendo troppo tempo”. L’idea generale è che la politica non può essere accurata e realista, ma deve per forza essere una decisione in vista di un fine. E il fine permette molti mezzi, e sicuramente quelli dell’asserzione falsa.

 

D’altro canto, il ragionamento dei giudici ha senso. Le nostre asserzioni sono delle prese di responsabilità. Asserire, come sosteneva il logico Charles S. Peirce, vuol dire proprio prendere responsabilità su una proposizione, farla propria. Tanto più se la scrive sui bus. Come accade nel caso della calunnia o della diffamazione, allora anche per la falsità conclamata, per di più se esercitata mentre si ricopre un incarico pubblico, occorre che ci sia una punizione. Possibile che, invece, si possa mentire in pubblico e sviare il pubblico impunemente?

 

Il dilemma sembra ridicolo, ma non è banale, anche per chi, come noi italiani, è abituato al fatto che in politica si dicono sempre “un sacco di balle”. Se dovessimo mettere in carcere tutti i politici che hanno mentito nell’esercizio delle loro funzioni, temo che peggioreremmo il problema già annoso delle carceri. Ma allora, è davvero tutto permesso? E’ lo stesso dramma che sta accadendo sui social network e che angoscia i creatori delle piattaforme globali, a partire da Facebook. E’ giusto controllare la menzogna? E come la controlliamo? Di fatto, la menzogna è molto difficile da definire e, persino nei casi eclatanti come questo, c’è sempre un senso iperbolico o metaforico che può giustificare quanto si dice. Non parliamo poi del controllo, che è semplicemente impossibile da esercitare, come ha dimostrato la vana caccia alle fake news di questi anni. Non è con il controllo di stato né con i processi che si imporrà la verità e l’etica della responsabilità. La verità di stato ucciderebbe ogni fantasia e creatività politica e sociale, come Churchill aveva fatto notare. Le virtù civili non si imparano nemmeno moltiplicando i corsi formativi, ma praticandole sotto il controllo della società, di quei famosi gruppi, associazioni, partiti, sindacati che dovrebbero garantire relazioni fisiche, reali e autentiche dove, proprio perché si condividono gli stessi interessi, si può esercitare un giudizio sul rapporto tra mezzi e fini. Insomma, il vero controllo nasce da luoghi in cui qualcuno abbia il coraggio e la possibilità di dire: “Ma non ti vergogni di dire tutte queste balle?”.

Di più su questi argomenti: