La polizia americana sorveglia le strade di Charlottesville durante le manifestazioni dell’alternative right americana nell’agosto 2017 (foto LaPresse)

I profeti del collasso

Daniele Raineri

Che cosa è l’accelerazionismo, la dottrina citata dai terroristi dell’estrema destra che fanno attentati, progettano etno-stati e aspettano la post-America

L’accelerazionismo è una dottrina che lega tra loro le stragi fatte di recente dai suprematisti bianchi. Se ne parla sui loro forum, a volte compare in modo esplicito nei manifesti degli stragisti. Avvertimento breve: l’accelerazionismo non è un concetto nuovo e più in generale è anche il nome di una teoria filosofica complicata a cui hanno contribuito molti intellettuali e che potrebbe riempire volumi, ma in questa pagina ci occuperemo dell’accelerazionismo per come è usato dai gruppi dell’estrema destra. La dottrina dice che l’America è destinata al collasso perché è indebolita al suo interno da contraddizioni troppo profonde. Invece che tentare di fermare questo processo in nome del passato e delle tradizioni o almeno di rallentarlo come farebbe la destra convenzionale, con la testa girata all’indietro, gli accelerazionisti sostengono la necessità di renderlo più veloce. Sono a favore dell’accelerazione, se l’accelerazione corre verso la fine del Sistema. Pensano anche che quello che vale per l’America varrà poi per il resto del mondo – cosa che nel campo dei gruppi dell’estrema destra è vera perché spesso le idee americane sono adottate anche da altri gruppi in altre nazioni.

 

Se i conservatori tradizionali vogliono attutire i cambiamenti del sistema, gli accelerazionisti vogliono portarli alla rottura

La premessa della dottrina accelerazionista è che questo sistema politico, per come è organizzato oggi, non offrirà mai ai suprematisti bianchi quello che vogliono, un etno-stato governato secondo il principio della purezza della razza. L’America al presente è disegnata apposta per stroncare ogni tentativo di separazione razziale e i suprematisti si sentono imprigionati dentro un sistema che è già dalla partenza e per definizione impostato contro di loro. “We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal”, dice nel 1776 la dichiarazione d’Indipendenza all’inizio della Rivoluzione americana. E da lì si arriva a Dylann Roof, il ventiduenne che nel 2015 entrò in un a chiesa e uccise nove persone, che si faceva fotografare mentre sputava su una bandiera americana e la bruciava perché la sentiva come un simbolo straniero.

 

Ma se l’America come la conosciamo finisse e si frantumasse in tanti territori slegati fra loro, allora sarebbe molto più facile per i suprematisti organizzati in milizie armate ottenere il loro etno-stato e imporre la separazione razziale oppure, nello scenario a loro più favorevole, la purezza razziale: soltanto cittadini bianchi. A pensarci, è un salto ideologico enorme rispetto alla destra americana tradizionalista che è attaccata con intensità feroce all’idea di America e considererebbe un’eresia antipatriottica l’idea di smontarla. Questi, gli accelerazionisti, sono convinti che ci sia una post-America dietro l’angolo che prenderà il posto degli Stati Uniti – che ormai hanno imboccato la fase terminale del loro ciclo di vita.

 

L’idea che il paese non durerà ancora a lungo così com’è è un tema di fondo della cosiddetta alt-right, l’estrema destra americana. Uno dei loro leader più conosciuti e più articolati, Richard Spencer, lo dice chiaro all’intervistatore in un documentario uscito su Netflix nell’agosto 2018 (Alt-right: The Age of Rage), ma purtroppo l’intervista non approfondisce. Messa in questo modo, tutte le manifestazioni di fanatismo da America profonda che ci sembrano robe da folli suonano di colpo più razionali. Vedi tra le altre cose il survivalismo, l’ossessione di prepararsi per un disastro imminente che nutre un giro commerciale niente male. Chi non si comprerebbe un fucile e scorte di viveri se pensasse che prima o poi il paese è destinato a rompersi? In questo senso anche le tantissime produzioni televisive che parlano di apocalissi zombie e di sopravvissuti che si arrangiano come possono non sono che un’infinita variazione sul tema dell’avvento della post-America, dove ognuno dovrà pensare per sé e soltanto i meglio organizzati e i più consapevoli hanno chance di cavarsela.

 

Dalla moschea di Christchurch alla sinagoga di Pittsburgh, tutti gli attacchi violenti dell’estrema destra hanno lo stesso filo rosso

A proposito di serie televisive. Un personaggio spietato della serie “Game of Thrones” a un certo punto pronuncia una frase che è un riassunto fulminante dell’accelerazionismo per come lo vedono nell’estrema destra americana: “Chaos isn’t a pit. Is a ladder”. Il caos non è un fosso nel quale si cade, è una scala che può essere usata per salire.

 

Lo stragista della moschea di Christchurch in Nuova Zelanda cita l’accelerazionismo nel suo manifesto – uno dei capitoli del manifesto s’intitola: “Destabilizzazione e accelerazionismo: tattiche per la vittoria” – e lo mette in pratica. Spiega che quando ha deciso come uccidere le sue vittime ha scelto di usare le armi da fuoco, in particolare un modello di fucile d’assalto che è già stato al centro di molte polemiche, invece che bombe o altri metodi perché sapeva che avrebbe generato una reazione molto intensa contro le armi da fuoco, che la questione sarebbe stata dibattuta e che la Nuova Zelanda avrebbe messo fuorilegge quelle armi, come infatti poi è successo. Questa è l’idea: esaltare una delle contraddizioni profonde del sistema, il fatto che vuole restringere il possesso di armi da fuoco per ragioni di sicurezza e però ne permette la vendita, per spingere il sistema verso la crisi. Il che ci porta alla bibbia del movimento suprematista, un libro pubblicato nel 1979 con il titolo “Turner’s Diaries”. E’ un cattivo romanzo di fantascienza scritto – da William Luther Pierce, un ideologo del movimento suprematista – in forma di diario e racconta la guerra razziale combattuta dai bianchi americani contro i neri e contro gli ebrei (che comandano i neri e li usano come soldati e manovalanza). La guerra si conclude con il lancio di testate nucleari contro le città americane in mano al nemico, ma quel che ci interessa è l’inizio, che racconta come è cominciato tutto: con una legge del governo che impone ai cittadini americani di consegnare le loro armi e con l’arresto del protagonista Earl Turner, ovviamente da parte di una pattuglia di neri comandati da un ebreo, che si fa beccare con una pistola nascosta nell’appartamento. Turner, che fino ad allora aveva creduto alla propaganda del sistema, riesce a liberarsi, capisce la necessità della guerra razziale e comincia una lotta partigiana contro il Sistema per creare un territorio in mano ai soli bianchi. In italiano è stato pubblicato con il titolo “La Seconda guerra civile americana” – quella, il riferimento è chiaro, in cui gli schiavisti si prendono la rivincita. Fa ridere detta così, ma nel manifesto dello stragista la raccomandazione è proprio questa: fate stragi con le armi, così il governo americano sarà costretto a confiscarvele e nascerà una rivolta. Accelerazionismo che si innesta su un libro di quarant’anni fa. Se avete care le vostre armi non difendetele nell’arena politica, piuttosto accelerate verso il caos.

 


Un uomo del gruppo di estrema destra White Vanguard si scagliò con l’auto contro la folla a Charlottesville nel 2017, faceva parte del circolo ideologico che cita l’accelerazionismo (foto LaPresse)


  

I diari di Turner furono pubblicati come un libercolo a metà tra la fantascienza distopica e il Ku Klux Klan e divennero una fonte d’ispirazione. L’attacco con un camion-bomba al palazzo federale di Oklahoma City compiuto da un terrorista di estrema destra nell’aprile 1995 (168 morti) è preso di peso da un capitolo del libro che racconta come un commando di suprematisti fa esplodere un palazzo federale. Roof, il fanatico già citato che fece strage in chiesa, disse davanti al giudice che lo aveva fatto nella speranza “di scatenare una guerra razziale” a cui sognava di prendere parte. Quando nell’ottobre scorso un uomo (Robert Bowers, di 49 anni) è entrato in una sinagoga di Pittsburgh e ha ucciso a fucilate undici fedeli lo ha fatto perché “è necessario fermare gli ebrei che fanno entrare gli immigrati in America per danneggiare i bianchi” e ha anche lui citato questo tema molto presente nei Diari, l’alleanza degli ebrei con i nemici della razza bianca. Nelle vignette che metteva su internet Bowers menzionava anche un altro classico della propaganda, lo Zog, the Zionist Occupational Government, il governo d’occupazione sionista. In breve: la destra americana rispetta l’ordine, le forze armate e la bandiera ma quando marcisce e degenera e si sposta verso posizioni estreme allora comincia a sognare la guerriglia antigovernativa per fondare uno stato bianco e accetta la possibilità della violenza contro il potere perché tanto è in mano agli ebrei. Diventa un animale diverso. Gli accelerazionisti vogliono l’accelerazione di questo processo e sostengono che prima avviene meglio è, perché se la guerra razziale è inevitabile allora è meglio che sia combattuta adesso che l’uomo bianco è ancora in una posizione di non-sottomissione. Molti suprematisti a questo proposito hanno il culto della Rhodesia, un piccolo stato nel sud dell’Africa controllato dalla minoranza bianca fino al 1980, e del suo esercito che combatteva nella boscaglia una sanguinosa contro-insurrezione contro la guerriglia nera e comunista.

 

Tra le bibbie dottrinali, un libro di fantascienza sulle guerre razziali: bianchi da una parte, neri ed ebrei dall’altra

Questa roba fa presa. Sabato 27 aprile un diciannovenne, John Earnest, ha ucciso con un fucile una donna davanti a una sinagoga a Poway vicino Los Angeles in California e ha ferito altre tre persone prima di scappare. Il suo manifesto è una copia ideologica di quello dello stragista della Nuova Zelanda, che era accelerazionismo spinto. Cercano emulatori, vogliono un effetto aggregazione. Del resto il sistema non entra in crisi se ci sono attacchi sporadici, ma soltanto se c’è una partecipazione massiccia. E’ chiaro che questa dottrina non ha molto da invidiare a quella dello Stato islamico come pericolosità, ma per ora attecchisce nelle teste con una frequenza infinitamente minore. A febbraio è uscita una notizia importante che per fortuna è scivolata via nella disattenzione generale perché non c’erano conseguenze concrete. Un ufficiale della Guardia costiera è stato arrestato con un arsenale di armi da fuoco perché aveva progettato un massacro che, come hanno detto gli investigatori, “era di proporzioni viste di rado in America” – che è pur sempre il paese dell’attacco di Oklahoma City e dell’11 settembre. I suoi bersagli erano politici democratici al Congresso e giornalisti. Sarebbe stata un’uccisione di massa senza senso, ma acquista significato se letta nel contesto dell’accelerazionismo. Uccidere persone in questi attacchi non ha conseguenze pratiche che possono piegare l’arco della storia, porta dritti in carcere o verso una condanna a morte. Ma se invece il gesto accelera la crisi del sistema, se scatena forze che i suprematisti bianchi pensano esistano e siano dormienti, allora queste operazioni dimostrative potrebbero servire a qualcosa. L’accelerazionismo si basa anche su questo. C’è una visione da comunicare. C’è la necessità di una sveglia traumatica e collettiva che di colpo ribalta la prospettiva che le persone hanno sul mondo. E’ la ragione che nell’estate 2011 ha spinto il fanatico norvegese Andres Breivik a uccidere a sangue freddo settanta ragazzini che partecipavano a un campeggio del Partito laburista: sono immigrazionisti, sono nemici dell’Europa, questo ordine europeo non reggerà quindi tanto vale metterlo in crisi con gesti definitivi per rimpiazzarlo con qualcos’altro. Breivik è l’ispirazione diretta dello stesso stragista di Christchurch che parla di accelerazionismo nel suo manifesto.

 

Gli accelerazionisti discutono molto della presidenza Trump, che considerano parte del sistema e al tempo stesso agente del caos

Di nuovo, la stessa avvertenza di prima, meglio ripetere per non generare confusione. La parola accelerazionismo qui usata per descrivere questa teoria del caos politico che affascina i gruppi della destra estrema americana era in realtà stata adottata molto prima per descrivere una costruzione filosofica più complessa, che spazia da Gilles Deleuze a Nick Land, un filosofo dell’Università di Warwick che teorizza la necessità di superare il capitalismo globale accelerando la rivoluzione tecnologica prodotta dal capitalismo globale. Lì si va verso l’intelligenza artificiale, qui si va verso le stragi nelle sinagoghe. Basti sapere che quest’ultimo è un uso in un contesto molto cupo e ristretto, ma non è il solo accelerazionismo al mondo.

 

L’altro testo interessante è Siege, Assedio (1992) del neonazista americano James Mason, una raccolta di articoli pubblicati negli anni Ottanta che praticamente nessuno conoscerebbe se non fossero stati ripubblicati su un forum online, Iron March, tra il 2011 e il 2017. Mason è uno così estremo che sosteneva: “Non ci sarà bisogno di campi di concentramento in America perché uccideremo i nostri nemici prima”. Negli articoli sostiene la necessità di azioni dirette e spontanee da parte degli uomini del Fronte di liberazione dei bianchi, senza la necessità di leader e di un comando centrale. Che poi è quello che fanno oggi i fanatici che in forma anonima si aizzano l’uno con l’altro sui forum della destra estrema, fino a quando qualcuno non decide di fare qualcosa di reale. “Screw your optics, I’m going in”, scrisse Bowers prima di attaccare la sinagoga di Pittsburgh: fanculo le apparenze, io agisco.

 

Su Iron March e su altri forum si è a lungo discusso anche della presidenza Trump, che allo stesso tempo è disprezzata ma anche apprezzata. Disprezzata perché Donald Trump come capo del Sistema con un genero ebreo è il simbolo del potere corrotto che infesta la Casa Bianca e le teste degli americani, troppo mite per soddisfare i suprematisti, troppo compromesso, troppo debole. Apprezzata perché è un presidente che finalmente fa intravedere un po’ di caos e di sicuro offre chance di destabilizzazione maggiori rispetto ai politici della vecchia scuola.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)