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Huawei senza Google è un simbolo della nuova Guerra fredda

Eugenio Cau

La compagnia cinese giudicata dagli Stati Uniti un pericolo per la sicurezza nazionale. Così due mondi tecnologici si stanno allontanando l'uno dall'altro

Milano. La decisione di Google di sospendere le licenze di Android a Huawei, su impulso delle direttive del dipartimento del Commercio americano, è il colpo più pesante inferto nella guerra tecnologica in corso tra America e Cina. E’ anche il primo provvedimento di questo conflitto a bassa intensità che potrebbe coinvolgere i consumatori. Non quelli americani, ché già adesso non possono comprare gli smartphone di Huawei, ma quelli di tutto il resto del mondo.

 

Funziona così: con l’inserimento di Huawei nella “entity list” del dipartimento del Commercio, tutti i fornitori americani non possono vendere all’azienda di telecomunicazioni cinese senza l’esplicito consenso del governo, poiché la Casa Bianca ritiene che Huawei sia un possibile pericolo per la sicurezza nazionale soprattutto per la sua attività nel settore strategico del 5G. Google, che fornisce agli smartphone Huawei il sistema operativo Android, ha dunque sospeso la sua licenza di fornitura. Anche molte altre aziende americane che forniscono chip e componenti tra cui Intel, Qualcomm, Broadcom, Xilinx, Micron Technology e Western Digital hanno fatto lo stesso, ma perdere Google è un colpo molto più feroce. Significa che, se la licenza non viene ripristinata, i prossimi smartphone di Huawei (quelli attualmente in circolazione sono a posto ma potrebbero avere qualche problema con gli aggiornamenti) non avranno Gmail, Google Maps, YouTube e soprattutto il Play Store: non avranno cioè accesso a tutte le app tipiche di uno smartphone Android. Huawei potrebbe decidere di commercializzare i suoi smartphone con una versione open source di Android o con un nuovo sistema operativo, ma chi se lo compra, in Europa in India o in Africa, un telefono senza Google Maps o YouTube? (Caso diverso è la Cina, dove le app di Google, oltre che Facebook, Twitter e mille altre, sono già bandite, a proposito di chi gioca a fare il più protezionista).

 

Nel 2018, Huawei ha avuto entrate per un totale di 107 miliardi di dollari. Di questi, la metà è arrivata dalla vendita di smartphone, metà dei quali, a loro volta, sono venduti fuori dalla Cina. In breve: senza Google, Huawei perde almeno un quarto delle sue entrate.

 

Huawei lunedì ha emesso un comunicato in cui cerca di rassicurare gli utenti, gli esperti sono scettici sul fatto che davvero, con un colpo di penna, sia possibile mettere in ginocchio il secondo produttore di smartphone del mondo, che di qui a breve sarebbe diventato il primo, superando Samsung. Ma poniamo che Huawei rimanga nella entity list per un tempo sufficiente per sentire davvero il danno, e che sia costretta, seppur ferita, a rendersi completamente indipendente dalla tecnologia americana. Mettiamo invece che Huawei si salvi, ma che lo spavento per l’industria tecnologica cinese sia tale da provocare un gigantesco processo indipendentizzazione, magari finanziato da Pechino.

 

Sono movimenti che stanno già avvenendo. Internet in Cina è chiuso in un bozzolo in cui l’occidente non può entrare e che spesso l’occidente non può comprendere. Alcune aziende come Huawei si estendevano all’esterno, ma hanno generato soprattutto preoccupazioni nei governi. Il reame della tecnologia americano ha ancora formalmente l’obiettivo di “connettere il mondo”, ma in realtà si sta chiudendo sempre di più nel suo bozzolo. E ciascuno dei due reami cercherà i propri alleati nel resto del mondo.

 

Il distacco tra l’hardware cinese e il software americano, se anche sarà di breve durata, è un simbolo potente di questi due mondi che si allontanano. Nel suo ultimo numero, l’Economist sostiene che ormai il commercio non è più un deterrente per evitare una nuova Guerra fredda tra le due potenze. La tecnologia, che è una delle principali ragioni del conflitto, diventerà sempre più insulare.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.