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L'Europa unita deve ancora vincere la sua partita sul fronte della sicurezza stradale

Pierpaolo Settembri*

25.000 vittime all'anno, quasi 70 al giorno. Cosa sta facendo l'Ue e cosa ancora dovrà fare per ridurre i pericoli sulle strade europee

Claudia e Fabio aspettano il conto mano nella mano. E’ stata una serata piacevole anche se non la ricorderanno come la solita pizza del sabato sera. Partiranno a breve ma non insieme: lei per l’Erasmus, in Danimarca; lui come volontario per il Corpo europeo di solidarietà, a Norcia. Saranno mesi entusiasmanti, sì, ma vissuti a distanza. Eccitazione e timore si confondono eppure sono fiduciosi. Smartphone alla mano hanno controllato i voli per Copenaghen e sono giunti alla conclusione che, viaggiando ognuno una volta al mese, riusciranno a vedersi ogni due settimane e che con tre voli ciascuno copriranno il trimestre fino a Natale. Anzi, allettati dall’offerta di una low cost, hanno deciso di acquistare immediatamente tutti i biglietti benché – o forse proprio perché – non modificabili e non rimborsabili. 400 euro in totale per arrivare fino a gennaio. Poi, si vedrà.

     

Purtroppo non arriveranno a Natale. Claudia è una delle oltre 3.000 vite spezzate ogni anno in Italia da un incidente stradale. Meno delle 4.000 vittime di dieci anni fa, ma ancora troppe. E soprattutto la contabilità non rende giustizia alle tante storie personali che, a differenza di questa, sono vere, parlano di sogni e progetti interrotti, e lasciano una ferita indelebile in chi ne è colpito come familiare o amico.

       

La Commissione europea ha appena pubblicato le statistiche aggiornate al 2018: le vittime della strada in Europa sono ancora oltre 25.000 ogni anno, quasi 70 al giorno. Si stima inoltre che, per ogni vittima della strada, ci siano cinque feriti gravi. Nonostante il trend sia positivo – la riduzione delle fatalità è del 21 per cento rispetto al 2010 – è assai improbabile che l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime entro il 2020 verrà raggiunto. I governi europei hanno però rilanciato la sfida e si sono impegnati a dimezzare ulteriormente il numero delle vittime tra il 2020 ed il 2030, e in ultima istanza ad azzerarle del tutto entro il 2050, grazie soprattutto alle promesse della guida autonoma. Può sembrare irrealistico, ma è quanto sta già accadendo oggi nell’aviazione.

       

La sicurezza stradale è un terreno privilegiato per misurare i risultati concreti ma anche i limiti dell’integrazione europea perché offre al tempo stesso ottimi e pessimi esempi. A chi è alla ricerca di una narrazione positiva basterà ricordare che le strade europee sono le più sicure al mondo e che le differenze tra i paesi stanno diminuendo e convergendo verso una progressiva riduzione delle vittime. Quasi 5.000 vite risparmiate in media ogni anno dal 2010 a oggi, per chi tiene alla quantificazione. Allo stesso modo, i detrattori del progetto europeo avranno vita facile nel criticarne le carenze, notando che la stessa infrazione costerà ben quattro punti di patente a un automobilista italiano mentre uno straniero la farà franca con una semplice multa. Qualcuno dirà che serve più Europa: perché non esiste un quadro normativo comune per le indagini dei più gravi incidenti stradali, come quello in cui tre anni fa hanno perso la vita tredici studentesse Erasmus a Barcellona (tra cui sette italiane)? D’altronde esiste già per gli incidenti aerei. Qualcuno invece dirà che d’Europa ve n’è fin troppa, ricordando che da ormai trent’anni una direttiva impone a tutti l’uso delle cinture di sicurezza (si tratta peraltro dell’unica regola di comportamento prescritta a livello europeo anziché nazionale).

La sicurezza stradale dimostra che l’integrazione europea non è una storia di successi europei e di fallimenti nazionali (né viceversa), nella solita caricatura che oppone Bruxelles alle capitali nazionali. E’ un processo continuo ed incerto, fatto di passi avanti, ostacoli, traguardi, rinunce, opportunità improvvise e occasioni perse. Ma soprattutto è un processo integrato, che connette – anziché contrapporre – istituzioni europee e governi nazionali. A ogni livello decisionale, tecnico o politico, attori con mandati e preferenze diverse cercano di trovare soluzioni efficaci a problemi comuni. La risposta non è sempre nuova legislazione, ma spesso sono nuovi modi di lavorare insieme basati sullo lo scambio di buone prassi, ad esempio per aiutare quei paesi che sono indietro. La lezione che se ne trae – e che è difficile trasmettere fuori da Bruxelles – è che si vince o si perde insieme. Non esiste vittoria o sconfitta dell’Unione europea che non sia tale anche per i suoi stati membri.

Tecnicamente quella dei trasporti – e quindi della sicurezza stradale – è una competenza concorrente: significa che tanto l’Europa quanto gli stati membri possono adottare misure, ma se e quando viene presa una decisione a livello europeo (dai governi degli stessi stati membri insieme al Parlamento europeo) questa prevale sulle decisioni nazionali, che da quel momento in poi non possono più contraddire le norme europee.

Le disposizioni europee in materia di sicurezza stradale sono numerose: le nostre patenti sono valide e riconosciute in tutta Europa; le auto europee sono sottoposte allo stesso controllo tecnico periodico; le infrazioni al codice della strada commesse da non-residenti possono essere perseguite grazie alla direttiva sullo scambio di informazioni. Tuttavia, le decisioni più sensibili sono ancora responsabilità nazionale, come quelle relative ai limiti di velocità, ai livelli di alcool consentiti, alle sanzioni, e a tutte le altre regole del codice della strada.

La legislatura che si chiuderà con le prossime elezioni europee il 26 maggio è stata proficua per la sicurezza stradale. Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno appena approvato il nuovo regolamento sulla sicurezza dei veicoli che rafforzerà la protezione degli occupanti e degli altri utenti vulnerabili come pedoni e ciclisti (quasi la metà delle vittime stradali). Tutti i nuovi veicoli a motore dovranno avere dispositivi per l’adattamento della velocità, di avviso della stanchezza e distrazione del conducente, registratori di dati di evento e altre misure avanzate tra cui i sistemi di frenata di emergenza e di mantenimento della corsia, oltre a varie misure per ridurre le lesioni per pedoni e ciclisti e per rilevarne meglio la presenza. Si stima che soltanto questo provvedimento potrebbe salvare fino a 25.000 vite nei prossimi quindici anni.

Nello stesso periodo, è stata approvata la nuova direttiva sulla gestione delle infrastrutture stradali che estende l’obbligo di valutare la sicurezza stradale dell’intera rete alle autostrade e alle altre strade principali oltre la rete transeuropea di trasporto (TEN-T), tenendo sistematicamente conto dei pedoni e dei ciclisti nelle procedure di gestione della sicurezza stradale.

Dovrebbero inoltre entrare in vigore nelle prossime settimane le nuove regole per permettere la comunicazione tra veicoli e le infrastrutture stradali e con gli altri utenti della strada per avvisare in caso di situazioni pericolose come incidenti o lavori stradali o per sincronizzare i semafori. E’ un provvedimento che privilegia gli obiettivi della sicurezza stradale e consente pertanto che ad assicurare i servizi di comunicazione essenziali siano tecnologie già esistenti (e perlopiù gratuite).

L’anno scorso è infine diventato obbligatorio sui nuovi modelli di auto e furgoni leggeri il sistema d’emergenza eCall che allerta automaticamente i servizi di soccorso in caso di incidente stradale grave.

Il prossimo Parlamento europeo si troverà davanti a scelte altrettanto importanti: alcuni chiederanno di istituire una patente a punti europea per evitare disparità di trattamento; altri di agire più convintamente contro la guida in stato di ebbrezza introducendo l’etilometro che immobilizza il veicolo in caso di superamento dei limiti consentiti (un quarto degli incidenti è legato al consumo di alcool); altri indicheranno la distrazione dovuta all’uso degli smartphone come un nuovo allarmante fenomeno su cui concentrare gli sforzi (un recente studio spagnolo identifica la distrazione come causa principale nel 33 per cento degli incidenti mortali); altri ancora chiederanno di limitare la velocità massima di tutte le vetture in circolazione.

Sono proposte all’apparenza tecniche ma che sottendono quesiti ben noti e comuni ad altri settori: serviranno norme nuove o basterà applicare quelle esistenti? Serviranno ulteriori sforzi a livello europeo o spetterà a ciascun paese trovare l’approccio più efficace? Anche questa è la posta in gioco alle prossime elezioni europee e ciascuno dirà giustamente la sua. Intanto le 25.000 vittime della strada ci ricordano, silenziosamente, che finora non è stato fatto abbastanza.

            

*Funzionario della Commissione europea. Scrive a titolo personale e le sue opinioni non riflettono necessariamente la posizione della Commissione europea

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