La Thailandia non è ancora pronta a dire addio al regime militare

Grande affluenza, circa l'80 per cento, alle prime elezioni dopo otto anni. L'opposizione cresce, ma secondo gli exit poll il partito del generale Prayut Chan-o-cha, attuale primo ministro, è in testa con il 24 per cento

Massimo Morello

“Preferisco votare piuttosto che giocare con i colori” dice una signora all’uscita di un seggio a pochi passi da Lang Suan Road, la Beverly Hills di Bangkok. È la tarda mattina del 24 marzo, giorno delle prime elezioni thailandesi dopo otto anni e dopo cinque di regime militare. Quell’elegante signora si riferisce alla contrapposizione, molto spesso violenta, che da quasi quindici anni segna la vita politica del Regno: tra i “gialli”, ultraconservatori, sostenitori dei militari e i “rossi”, seguaci dell’ex premier Thaksin Shinawatra. Contrapposizione che affonda le sue radici nel tessuto socioculturale thai e si richiama a quella tra ammart, esponenti dell’aristocrazia, che sia di sangue o censo, e prai, le classi più povere, meno istruite.

 

Queste elezioni, tanto attese quanto desiderate – l’affluenza alle urne è stata di circa l’80 per cento – non segnano la fine della contrapposizione. Forse, come sembra ascoltando le voci dei thai, sono il primo passo in un percorso ancora lungo che dovrebbe modificarla: non più tentativi di rivolta o colpi di stato bensì una scelta elettorale.

Lo dimostrano i risultati non ufficiali (per quelli ufficiali bisognerà attendere conferme e verifiche): prevedibili con molti elementi di sorpresa. Il che conferma, come amano dire i thai, che tutto è fatto alla maniera thai.

 

La prima sorpresa, in realtà, non è ascrivibile ai thai: sono stati gli exit poll comunicati da un’agenzia stampa internazionale. Ma non perché sbagliati, bensì perché erano i risultati di un sondaggio realizzato prima delle elezioni: uno di quegli equivoci che sembrano dimostrare i problemi dell’accelerazione delle informazioni.

Tanto prevedibile quanto sorprendente il semi-pareggio dei primi due partiti. Del tutto imprevisto il clamoroso successo (primo partito, al 24 per cento) del Palang Pracharath Party, il partito dei militari, che ha come suo uomo immagine e candidato primo ministro il generale Prayut Chan-o-cha, attuale primo ministro e artefice del golpe del 2014. Probabilmente ha giocato a suo favore l’improvvisa conversione a una politica populista che ha trasformato il generale Prayut nell’amabile Lung Prayut, lo zio Prayut, che ha garantito una sorta di “reddito di cittadinanza”.

Prevedibile invece il successo del Pheu Thai (secondo, al 23 per cento), il partito dei rossi, profondamente radicato nel nord e nel nord-est del paese.  

 

Prevedibile, ma non di un tale magnitudine, il successo del Future Forward (al terzo posto, col 17 per cento dei voti), il partito del giovane miliardario Thanathorn Juangroongruangkit, che propone un radicale programma di riforme sociali ed economiche (a discapito soprattutto dei militari). È questo, dall’arancione del logo, che propone un nuovo colore nella politica thai, disegnando nuove possibilità di cambiamento. Imprevisto il collasso del Democrat Party, il partito conservatore, al quinto posto, che sconta un peccato imperdonabile: la mancanza di appeal, la “freddezza”, la distanza dalla narrazione popolare. Parte del suo insuccesso, inoltre, è dovuta all’affermazione del Bhumjaithai Party, al quarto posto, partito ascrivibile alla destra che ha basato la sua campagna elettorale sulla liberalizzazione della Marijuana. “Questa politica migliorerà la vita di tanta gente” ha dichiarato il leader del partito, Anutin Charnvirakul, in una conferenza al Foreign Correspondent Club.

 

Questi primi risultati andranno confermati, verificati e analizzati nelle loro conseguenze in termini di seggi in base all’esoterico sistema elettorale thailandese. Il Pheu Thai, ad esempio, potrebbe aver ottenuto il maggior numero di seggi. Ma appare inequivocabile l’affermazione del fronte conservatore. Tanto più che nella formazione del governo può contare sui voti dei senatori che si è già assicurato grazie a una riforma costituzionale ad hoc. Una riforma che ha anche ispirato un nuovo video del gruppo “Rap against dictatorship” dedicato ai “leccapiedi”. Pubblicato la vigilia del voto, dopo ventiquattr’ore conte circa settecentomila visualizzazioni).

 

  

Sembra si sia rivelata corretta la previsione del professor Thitinan Pongsudhirak, uno dei più acuti politologi thai: “La Thailandia sta per divenire una democrazia limitata sotto la supervisione a lungo temine dei militari” stando ai risultati, tuttavia, sembra che buona parte della popolazione voglia legittimare questo modello di regime.

Alcuni, come la signora incontrata di fronte al seggio di Lang Suan, potrebbero sostenere che è stato ascoltato il messaggio di Sua Maestà Maha Vajiralongkorn che il giorno prima delle elezioni, citando un messaggio rivolto ai boy-scout dal suo venerato padre ha invitato a votare per le “brave persone”. Da un diverso punto di vista è possibile che altri, specie tra i giovani, siano quelli che hanno risposto a quell’invito con l’hashtag  #oldenoughtovoteourselves.

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